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Micciò. L’Amore non scorda – di Bia Cusumano

Melchiorre aveva 95 anni, una vita di fatica a crescere tre figli, due maschi e una femmina, insieme a Lina. Erano sposati da 60 anni, una vita d’amore, rinunce e la scelta coraggiosa di essere famiglia nonostante i sacrifici. I ragazzi avevano voluto studiare, fare carriera; non fare il muratore come il padre o la sarta come la madre. E Melchiorre e Lina glielo avevano permesso, perché era giusto che i ragazzi si facessero la loro strada e andassero all’Università tutti e tre. Baldo era diventato avvocato, Luigi medico e Fiorenza docente. Bella come la madre. Fiorenza ricorda ancora quando rientrando nel weekend a casa dall’Università la trovava, ormai avanti negli anni, china sui capi di abbigliamento, tra taglio, cucito, orli, merletti e asole. Lina sapeva cucire abiti di gran classe, si era impegnata tanto da diventare la migliore sarta del paese. Andavano da lei pure dalle città vicine perfino per confezionare cappotti, abiti da cerimonia e finanche abiti da sposa. “Tutto da autodidatta – ci teneva a dire -. Tutto da sola ho fatto io nella mia vita, per aiutare mio marito a far diventare i nostri figli dei professionisti e non vivere di stenti e sacrifici come me e loro padre”. Lo ripeteva spesso rivolta al marito che affettuosamente chiamava Micciò, quando lui tornava stanco dopo una giornata di alzare cantuna sotto il sole cocente di Sicilia e, al volo, una pausa pranzo, preparata dalla moglie la mattina all’alba prima che andasse via a costruire case per i ricchi. “Quando ancora le mogli erano disposte ad alzarsi all’alba per i loro mariti. Quando i mariti, prima di uscire da casa e indossare le scarpe da lavoro, si ricordavano di fare ancora una carezza sul volto delle mogli”, ripeteva Fiorenza ai suoi fratelli, entrambi divorziati dopo pochi anni di matrimonio. “Ma li avete mai guardati con attenzione i nostri genitori, voi due? Avete guardato il loro modo di sorridersi con gli occhi, di cercare la mano l’uno dell’altra? Li avete mai visti andare a letto senza prima scambiarsi la buona notte con un bacio? Pure se a tavola, durante la cena, avevano avuto qualcosa da dire e ricordo davvero poche occasioni nelle quali discutevano animatamente e sempre per colpa delle nostre litigate”. “Fai la sperta tu, Fiorenza”, le diceva sempre Baldo, l’avvocato che era rimasto a Catania a gestire uno studio legale associato di cui lui era il titolare… “E lo sai perché? Perché non ti sei mai sposata. Sei rimasta qua, a fare la docente di Liceo, con la testa tutta piena di poesia e romanticismo. Ma la vita reale non è questa! La vita reale non è fatta di sogni e desideri, quelli che forse insegni ai tuoi alunni. La vita reale non è fatta di tutto quell’“amore” di cui parli sempre tu come ne fossi la sacerdotessa! Vai a fare queste lezioni in classe ai tuoi alunni adolescenti, che forse loro ancora ti possono calare la testa! La vita reale è fatta di titoli su titoli, concorsi, master, specializzazioni; carriera brillante che poi ti porta profitto! Soldi, sorella, soldi, quelli con cui poi ti compri le case, le macchine, ti fai i viaggi in giro per il mondo, le cene nei migliori ristoranti e, perché no?, le donne. Leggerezza, Fiorenza, leggerezza! Non ho studiato una vita per stare a parlare d’Amore. Mi sono ammazzato di studio per essere il migliore avvocato di Catania, ci sono riuscito e guadagno un futtiu di soldi! Papà e mamma non ci hanno fatto studiare all’Università per scrivere poesie sull’Amore che tanto il pane non te lo daranno mai! Penso lo abbiano fatto per altro! Come sei pesante, Fiorenza, con la tua sindrome da perenne docente che pretende di insegnare l’Amore a tutti. Ma ancora, a quasi 40 anni, non l’hai capito che l’amore non esiste? Trovati uno ricco e affermato che ti porti i bei soldi a casa e smettila di andare al Liceo in bicicletta!”. “Effettivamente – aggiungeva sempre Luigi, il medico, che dopo appena due anni di matrimonio si era divorziato dalla moglie e ora viveva i guai di avere una figlia a metà e una carriera da portare avanti al Policlinico – effettivamente, Fiorenza, papà e mamma sono un’eccezione, questi generi di amori non esistono più. Pensa che ora la mia ex moglie mi ha trascinato in giudizio, ha chiesto un mantenimento pari a circa la metà del mio stipendio e mi fa la guerra riempiendo la testa a Giada di cose orribili contro di me. Nostro padre non lo avrebbe fatto mai. Forse, Baldo non sa esprimersi nel modo più delicato possibile, ma vuole indurti a riflettere, vuole dirti che per te che non hai un marito o un figlio è tutto più semplice ma che se poi ci passi tu attraverso le cose non è tutto così rose e fiori l’amore. Lo so che papà e mamma sono stati un grande esempio per tutti noi ma, guardaci… siamo in tre e due di noi sono divorziati e tu sei single. Forse ha ragione Baldo, devi accettarlo Fiorenza, l’amore è fatto di interessi, convenienze e convenzioni”. Ogni volta che Fiorenza si rivedeva con i suoi fratelli era per lei un pugno nello stomaco. Avevano respirato tutti e tre quell’amore fatto di attenzioni, cure, dolcezze, premure, rinunce, presenza; com’era possibile che i suoi fratelli fossero cresciuti così aridi e cinici? Così materialisti e privi di desideri e passioni? Non se lo chiedeva neanche più negli ultimi anni, anche perché era rimasta quasi del tutto sola ad occuparsi dei genitori, sempre più anziani e con vari acciacchi. Baldo veniva sempre meno e poi da Catania c’è troppa strada, era la risposta immediata che le dava ogni volta che Fiorenza lamentava la sua assenza; Luigi, tra turni in ospedale e la ex moglie narcisista e avara che le aveva riversato addosso tutte le colpe del fallimento del loro matrimonio e poi la piccola da crescere, non riusciva se non a chiamare ogni giorno; ed era già tanto così. Fiorenza divideva le sue giornate tra le lezioni al “suo” Liceo come amava chiamarlo lei, le sue poesie e i suoi anziani genitori. Eppure, lo so, diceva sempre alla sua migliore amica: “Io mi sto vivendo la parte migliore dei loro anni. Vederli invecchiare insieme, seduti accanto, mano nella mano, non è un dono per tutti”. Mi incanto quando vedo mia madre che, ha l’Alzheimer da anni e che pure non riconoscendo più mio padre, guarda, chissà perché, sempre verso la sua sedia e mio padre mi dice sempre: “Fiorenza mia, io me ne voglio andare ormai da questa terra, sono stanco, ho lavorato tanto e ho amato sempre e solo tua madre. Ho cresciuto tre figli e tutti e tre siete diventati dei professionisti, avete fatto carriera e state bene in salute, non ho altri desideri da realizzare se non uno solo: me ne voglio andare prima di tua madre! Ma come faccio a darle questo dispiacere? Morirebbe di pena. Io per lei sono stato tutto: marito, amico, compagno, padre forse. Tua mamma si è sposata con me che ancora era una picciridda e quanto amore mi ha dato questa donna io non te lo potrò mai spiegare a parole! Magari un giorno tu che scrivi, scrivici su una bella poesia. Mi ha amato pure con i suoi silenzi, le sue lacrime, le sue attese, il suo lavoro fino a notte tarda perché sapeva che i mei soldi da soli non bastavano per mantenere tre figli all’Università. Mi ha amato perdonando i miei errori e i miei difetti; ti pare che non ne ho?”. “Tutti ne abbiamo, papà, difetti”, rispondeva Fiorenza e una lacrima le solcava il volto quando suo padre diceva così, pensando di non dare una pena alla moglie morendo dopo. Ma Lina ormai non riconosceva più nessuno da tempo, nemmeno i figli. Era proprio “impossibile” potesse capire che il marito morisse. Ma non per Melchiorre, lui questa pena alla sua Lina non la poteva dare. Fiorenza diceva sempre che forse un giorno l’avrebbe scritta una poesia sul loro amore, così suo padre socchiudeva gli occhi e si beava di ascoltarla parlare in corretto italiano. “Che orgoglio siete stati per vostra madre; tre figli ha fatto e tutti e tre belli e bravi”. Insomma, pensava Fiorenza tra sé e sé, se solo avesse potuto dire la verità a suo padre, che in fondo lei era l’unica della famiglia a crederci davvero nell’Amore. Una mattina mentre Fiorenza era in classe a fare lezione, arrivò una chiamata al Liceo. Suo padre respirava male. Il collaboratore scolastico le disse: “Professoressa ha chiamato suo fratello da casa, dice che suo padre respira affannosamente. Vada; avviso subito la referente di plesso. Nella classe intanto ci resto io”. Fiorenza riuscì a dire solo: “Grazie” e corse, corse come non mai, mangiando i gradini della scala del Liceo come di solito divorava i libri di poesie. Nella strada correndo in bicicletta all’impazzata pensò: “Mio fratello? E quale dei due? Se uno è a Palermo e l’altro a Catania?” Arrivò a casa tutta trafelata e pallida che sembrava un fantasma e trovò un vero inferno: l’ambulanza, gli infermieri, la badante in lacrime e suo marito e i vicini che erano accorsi dalle case adiacenti. Melchiorre aveva avuto un ictus e si era spento in pochi minuti; tutti dicevano senza neanche averlo capito e sofferto. Se ne era andato prima della sua Lina. Seduto sulla sedia vicino a Lei, secondo il suo ultimo desiderio. Se ne era andato senza dare quello strazio alla moglie e senza disturbare i figli maschi che si erano precipitati lì appena avevano saputo, lasciando per pochi giorni le loro brillanti carriere, per dare l’estremo saluto al padre. In effetti non aveva chiamato il fratello al Liceo di Fiorenza, ma un vicino di casa, il dirimpettaio, il marito della badante che aveva sempre voluto un gran bene a quell’anziano uomo che aveva insegnato a tutti cosa fosse l’amore, con il suo sacrificio, la sua cura e la sua devozione. Fiorenza accarezzò il viso al vecchio padre e gli sussurrò: “Hai visto? Te ne sei andato prima tu, così la mamma non muore di pena”. Luigi, appena giunto da Palermo, rivolto alla sorella che si era accovacciata accanto alla sedia del padre, stringendo forte la mano alla madre, come se lei potesse capire, disse: “Fiorenza, ti prego, alzati. La mamma ha l’Alzheimer, non può capire che papà è morto. Lo sai pure tu che da tempo non riconosce nemmeno noi che siamo i suoi figli. Alzati, sta arrivando Baldo da Catania, vediamo cosa dobbiamo fare”. Mentre Fiorenza si alzava straziata nel cuore e nel volto per la perdita dell’amato padre, si sentì decisa e sicura una voce: “Micciò! Micciò!” Lina aveva appena pronunciato poche sillabe, quelle del nome del marito. Aveva allungato la sua scarna mano verso la sedia vuota ormai di Melchiorre, messa accanto alla sua e aveva lasciato la sua mano lì per giorni anche dopo i funerali di Melchiorre. Quella voce era risuonata nella stanza e l’avevano sentita tutti. Fiorenza, Luigi, la badante e suo marito e i vicini di casa. Fiorenza guardò il fratello medico: “L’hai sentita pure tu, vero?”, disse. “Sì, l’ho sentita. Ma non chiedermi spiegazioni scientifiche, Fiorenza, non ne ho”. “Perché non ce ne sono, Luigi; all’Amore non ce ne sono. Mamma non parlava più da anni e qui lo sapevamo tutti. So cosa sia l’Alzheimer, non ci vuole necessariamente una laurea in medicina per saperlo. Ma vedi, Luigi, l’Amore con la tua scienza e le tue logiche e razionali spiegazioni non c’entra proprio nulla. L’Amore non è fatto di neuroni e sinapsi. E mamma ti ha insegnato oggi qualcosa che sui tuoi manuali di anatomia non troverai mai; l’Amore non si spiega. E no, L’Amore non scorda”.   

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