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La Botola e il Faro – di Bia Cusumano

Ludovico e Giulia si conobbero nella hall di una importante azienda farmaceutica di Milano, chimici entrambi, lei con qualche anno di esperienza nel settore, lui appena trasferito da Palermo. Era arrivato, quella mattina, Ludovico, puntuale, in giacca e cravatta, camicia blu, fresco di assunzione e di dopobarba al Sandalo speziato. Giulia, sicura di sé e disinvolta, abbronzata e con una maglia scollata, entrò come chi dopo anni trascorsi lì si sente a casa propria. Salutò tutti con il suo solito sorriso, bella e disinibita, strinse a sé il suo collega preferito che le sussurrò qualcosa all’orecchio del tipo “Sempre bella sei” al che con uno sguardo luminoso lei rispose: “Certo, dopo l’estate io rinasco sempre!”. Era vero, Giulia era un po’ come un’araba fenice, aveva la strana e straordinaria capacità di rinascere sempre dalle sue macerie. Donna volitiva e carismatica, riusciva sempre a conquistare tutti con il suo fascino da meridionale espansiva, quasi esplosiva. Se l’avessi dovuta definire, l’avrei definita così: una meravigliosa terra sismica, in perenne movimento, piena di risorse e idee che a volte tirava fuori da quel suo cappello magico che ormai chi la conosceva bene sapeva esistere sul suo capo testardo e dai lunghi capelli rossi. Ludovico, la guardò con uno sguardo apparentemente distratto; in realtà, credo, tra i due fu un colpo di fulmine. Giulia si avvicinò per accogliere il nuovo collega e con il suo solito fare, a volte quasi spregiudicato, gli disse: “Ecco, la nuova promessa della Chimica italiana! Ecco l’illustre collega che viene dalla stessa mia terra! La Sicilia, si sa, madre di prodigi è!” Imbarazzato, come se tutti stessero ascoltando proprio loro, Ludovico le sorrise con fare timido e si limitò a presentarsi, aggiungendo solo che sì anche lui era Siciliano, di Palermo esattamente, e che era da poco a Milano, città nella quale aveva svolto diversi master dopo il dottorato in Sicilia, perché il richiamo della madre terra era stato troppo forte. Ma quella telefonata da parte dell’Azienda Farmaceutica poi, quella proposta irrinunciabile e l’ambizione di potere fare un lavoro molto ben retribuito, lo avevano convinto. Aveva preso il volo della sera ed era ritornato a Milano, dopo anni che vi mancava. Lei lo guardò con aria attenta, come chi mentre ascolta le parole osserva ogni minimo dettaglio. Guardò le mani, ben curate e dalle dita affusolate, le scarpe ben pulite coordinate al vestito, la valigetta da lavoro, di gran classe e poi l’orologio in acciaio con il quadrante oscuro al polso. Ne odorò il profumo, riconobbe l’essenza del Sandalo, lei amante di profumi ricercati, e quindi gli fissò le labbra. Mentre Ludovico e Giulia stavano ancora parlando, arrivò il capo del settore farmaceutico, da sempre con un debole non ricambiato per Giulia, e la invitò nel suo ufficio. Quest’anno le avrebbe proposto un avanzamento di carriera, lei con sufficiente esperienza ormai per assumersi quella carica e quella responsabilità.  “Non lo so – disse Giulia con fare ironico – devo pensarci, capo. Lo sai ho i genitori in Sicilia e sono figlia unica, non posso abbandonarli e poi non posso vivere solo di carriera, per quanto brava tu mi riconosca!”. Scoppiò in una risata ed erano proprio quei suoi vezzi così particolari che la resero irresistibile ben presto agli occhi di Ludovico. Quel suo modo strano di accarezzarsi il naso, quel suo giocherellare con i capelli, quell’accavallare le gambe con la sensualità di una donna padrona del suo destino. E ancora quegli occhi che emanavano gioia di vivere e capaci di scorgere la bellezza ovunque. Quel non lo so ruzzolò fino alle orecchie di Ludovico, dotato di un udito fuori dal comune. Alla pausa pranzo i due erano già seduti l’uno di fronte l’altra a consumare velocemente carne e insalata, rigorosamente senza carboidrati, e a guardarsi intensamente negli occhi. Ludovico era un giovane uomo e forse in Sicilia non si era lasciato solo un dottorato non andato a buon fine, perché il suo sogno poi le confessò candidamente era sempre stato quello di fare il docente universitario e restare nella sua amata Palermo, ma non troppo vicino alla sua famiglia problematica e conflittuale. Si era lasciato anche una storia durata tantissimi anni e un matrimonio preannunciato e annullato in tempi record. Chissà se era stata quella telefonata da parte dell’azienda farmaceutica, dopo che quasi per gioco aveva spedito il curriculum, a cambiargli la vita, a salvarlo da tutte quelle cose irrisolte che aveva lasciato dentro la “botola oscura”, come lui la chiamava. Giulia invece era una donna, come amava definirsi, dalle due vite, una tutta sicula e una che era cominciata a Milano e non aveva più alcuna voglia di ritornare in Sicilia. No; lei nella sua terra aveva lasciato un matrimonio andato in frantumi e una figlia che aveva scelto di vivere con il padre. Non vi sarebbe più tornata! Quel capitolo era definitivamente chiuso, non era una donna che si voltava indietro. “Io – disse – non vivo di rimpianti, vivo di desideri. Milano mi ha restituito la dignità di donna, l’affermazione di una professionista e oggi sono esattamente quella che sognavo di divenire da bambina. Se mi guardo allo specchio, mi sento orgogliosa di tutta la strada che ho fatto, di tutte le rinunce, i sacrifici, le lacrime ma anche del coraggio delle scelte che ho compiuto. Qui sono felice. Torno in Sicilia solo per i mei genitori, sono figlia unica e mio padre è sempre stato la mia grande scuola di Bellezza e d’Amore. Torno perché, dopo mesi a Milano, mi manca il suo odore, il suo abbraccio, mi mancano i suoi limoni appena raccolti con cui mi prepara ottimi sorbetti e poi mi manca la sua capacità di farmi sentire al sicuro. Lui è la mia quercia”. Ludovico annuì: “Deve essere proprio una bella persona, tuo padre – disse – e sospirò”. Ludovico aveva un pessimo rapporto con il padre, uomo bellissimo e carismatico quanto etereo e debole, nella vita si era sempre fatto trascinare da una fame di ambizione che lo aveva portato a bruciare tutti i suoi sogni di grandezza che inesorabilmente aveva proiettato su Ludovico. Con la madre poi il rapporto era così complesso e intessuto di amore e odio che chiunque ci fosse entrato ne sarebbe uscito sconfitto a priori. Il Figlio era solo suo e nessuna donna sarebbe mai stata all’altezza. Figuriamoci poi una donna di qualche anno più grande con un divorzio alle spalle.

A dispetto di tutti e di tutto, dopo quel primo pranzo in azienda, i due ogni weekend lo trascorrevano a casa di Giulia ed era inutile chiedersi dove fosse Giulia perché era esattamente sempre dove era Ludovico e viceversa. Fu un amore immenso. In azienda nessuno seppe se non l’anno successivo con discrezione e riservatezza, nonostante il carattere impetuoso di Giulia. Amore immenso ma infelice. Giulia, libera, sicura, appassionata di umanità e vita, Ludovico, perennemente insicuro, tormentato da continui sensi di colpa, da un senso estenuante di fallimento e frustrazione, dal non sentirsi mai all’altezza di nulla e soprattutto preda di un’ansia da prestazione e da un perfezionismo matto che riversava su tutto. Lavoro, convegni, articoli, pubblicazioni e finanche relazioni amicali. E poi folle, folle di gelosia per la sua Giulia che voleva tutta per sé, con la paura che ogni suo sguardo, ogni suo sorriso, ogni sua carezza per altri, fossero l’amo gettato per un’altra storia, un’altra tresca o un semplice e fugace tradimento. Nessuna rassicurazione bastava mai. Lei gli propose una convivenza seria e non da fuggitivi, un matrimonio, un figlio, una casa, insomma un mondo tutto loro, nel quale sarebbero stati al riparo da ogni giudizio, colpa o condanna ma Ludovico, le colpe, i giudizi e le condanne li aveva nella testa. Era impastato di non amore ricevuto, di disistima, di svilimenti, di mortificazioni, di fallimenti e tradimenti. E per quanto amasse Giulia e sapesse benissimo che un’altra come lei, neanche a farla con la cera l’avrebbe potuta creare, figuriamoci trovare, più lei per rassicurarlo le proponeva di “appartenere”, più lui si rifugiava nella sua botola oscura. Lì, in quel mondo sotterraneo, solo lì, Ludovico si sentiva al sicuro. Un mondo fatto di silenzi, di ordine quasi maniacale, nel quale tutto era sotto controllo, tutto tenuto a freno, senza impeti, senza sobbalzi, senza slanci ma anche senza vita. Nella botola Ludovico trovava davanti al suo PC, alle sue infinite ricerche e ai suoi studi, lui docente universitario mancato, (non per mancanza di merito ma per inganno del destino) la sua pace fatta di tanto segreto dolore e di infinita solitudine. Ma Giulia per lui, così vitale, così propositiva, così piena di progetti, così determinata, così forte che sapeva sempre esattamente cosa voleva e come giungerci, era per lui una minaccia al suo equilibrio infelice ma saldo. Ludovico voleva stare con i piedi attaccati a terra; Giulia voleva volare. Anzi era nata proprio per farlo. Era una farfalla monarca lei e non si era rifatta una vita a Milano, lasciando la sua amata Sicilia, per vivere in una botola oscura! Desiderava davvero sposare Ludovico, amarlo fino alla fine, fare un figlio con lui, dargli una casa, un approdo stabile, un faro nella tempesta dei loro anni e dei loro animi. In fondo entrambi avevano trascorso periodi di vita fin troppo tormentati. Era il caso di fermarsi. Quel non lo so detto al capo, quella mattina di settembre, significava esattamente questo. Non si poteva vivere solo di carriera e questi anni non sarebbero tornati mai più, né il loro amore, perché come diceva sempre Giulia, l’amore non replica. E dire che quel non lo so era giunto fin dentro le orecchie di Ludovico e che di casa, famiglia, matrimonio, figlio aveva sempre parlato lei. Lui aveva sempre e solo risposto: “Non mi sento pronto”; “Sarebbe una guerra infinita con i miei”; “Nessuno sarebbe felice per noi”; “Non mi va di spendere soldi per una pagliacciata e io, lo sai, nel matrimonio non ci credo”. “E poi, tu, che madre saresti con una figlia già che vive lontana e con un altro che praticamente dovrei aiutarti a crescere io, visto i tuoi problemi di salute e i tuoi guai con il tuo ex”. Ma, in fondo, erano tutte frasi orribili per nascondere la sua matta paura di “appartenere” e di poter fallire ancora, sbagliare ancora, dimostrare ancora una volta che era un figlio imperfetto, che aveva tradito tutte le aspettative, tutti i sogni, tutte le grandi ambizioni dei suoi, grandi professionisti realizzati in infelicità cronica. Giulia ci aveva provato in ogni modo, sfidando ogni ostacolo e inghiottendo veleno e fango. La famiglia di Ludovico, una volta che la storia era venuta a galla, l’aveva fatta a pezzi, ma lei bella e forte del suo amore per lui non si era fatta scalfire, aveva sempre tenuto la testa alta e la schiena ben dritta, sicura di quanto amore e di quanta passione li legasse. Erano davvero belli, Ludovico e Giulia, di una bellezza fatta di intesa, complicità, sorrisi e sogni, determinazione e tenacia per la  propria professione, belli da guardare insieme, belli perché si completavano a vicenda. Lei spavalda e con una dialettica che incantava il mondo, lui colto e raffinato, lei seducente e piena di umorismo, lui riservato e timido, lei esplosiva e vulcanica, lui moderato e razionale. Belli e appassionati ma preda di una botola oscura. Entrambi ostaggi di un aereo decollato senza un piano di volo e una destinazione. Aereo  rimasto sospeso in aria. Ludovico voleva vivere H24, Giulia voleva un futuro. E senza coraggio, il futuro si sgretola e l’amore langue come una fiamma non più alimentata da olio sacro dentro il sacello di un Tempio.

Ora dei due non si sa più nulla. Sembrerà strano ma Giulia che non voleva fare più rientro in Sicilia, dopo la morte prematura della madre, dovette trasferirsi con urgenza e prendersi cura del padre. Ludovico che in Sicilia aveva sempre sognato di tornare ma non troppo vicino ai suoi, con quella sana distanza che gli avrebbe permesso di sopravvivere, restò a Milano, nella metropoli della nebbia e del successo, a fare carriera e a collezionare titoli, master e donne, forse infelice o di una felicità costruita su misura dentro quella botola oscura. Giulia la si vede ogni tanto fare una passeggiata in solitaria al Faro, giungere fin lì, sedersi a respirare  tutto l’odore del suo mare mediterraneo, ascoltare incantata lo scirocco, farsi scomporre i capelli rossi, leggere le poesie di Salinas e poi rientrare, a sera inoltrata, a casa del padre. Ridere con lui, sorseggiando sorbetti al limone, sognando che un giorno in quella botola oscura possa filtrare fino ad esplodere la luce del faro, tanto da esserci luce che basti per entrambi.

Giulia e Ludovico si lasciarono senza mai dirsi Addio, perché per Giulia in amore non esistevano possibili Addii e per Ludovico non vi erano parole per motivare un Addio. Accadeva, si voltava pagina, si andava avanti, salvo cercare sempre il volto e i vezzi di Giulia in ogni donna che ebbe successivamente nel suo letto, ma mai dentro il suo cuore. Lì e nella botola oscura c’era entrata solo Giulia. Come nel faro di Giulia c’era stato posto solo per Ludovico.

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