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Libri RossoBia

“Sulla soglia del filo spinato. Storia di una bambina trasparente e di un bambino con un nome”. Di Bia Cusumano e Fabio Gabrielli

‘Una scrittrice e un filosofo, con esperienze e linguaggi diversi, hanno deciso di raccontare una storia, uno scambio d’anima tra una bambina (trasparente) deportata in un lager e un sazio bambino, Numa, di una qualche metropoli occidentale.

Raccontare storie è specifico dell’umano: anche quando sono immaginarie, riportano sempre l’umana esperienza.

Non ci sono pretese moraleggianti, discorsi edificanti, ideologie salvacoscienza della memoria, c’è semplicemente una storia.

La possibilità di raccontare una storia, non di rado preclusa a tanti, è già molto, forse tutto.

Per questo gli autori la dedicano a quelli che non ne hanno mai avuto la possibilità, poiché resi silenti dagli innumerevoli lager della vita’.

Questo si legge in premessa del libro scritto a quattro mani da Bia Cusumano e Fabio Gabrielli, di cui oggi c’è stata la prima presentazione a Campobello di Mazara all’Istituto Comprensivo Luigi Pirandello-San Giovanni Bosco presso l’auditorium della scuola media con la partecipazione degli alunni di seconda e terza media che hanno realizzato anche una performance musicale, e l’intervento on line Fabio Gabrielli, e i saluti della Dirigente scolastica e dell’editore Franco Sferlazzo.

Qui, per la rubrica RossoBia, solo il racconto dell’autrice.

‘Sono stata una bambina trasparente. Non ho un nome. Non lo ricordo nemmeno più. Ho un numero però sull’avambraccio sinistro. E’ 445537. Mi fa compagnia la notte. Lo guardo perché dalla brandina in cui dormo, il cielo non si vede. In verità non vi è neanche una finestra da cui stare a guardare il cielo con le sue stelle. Tanto la notte dormo poco. Suona sempre una sirena che mi fa scoppiare la testa. Sembra un singhiozzo lungo che non finisce più ed è sempre accompagnato da urla e pianti. C’è qualcuno che si lamenta, qualcuno che prende le botte, qualcuno che fa un gran chiasso. La notte è peggiore del giorno. Almeno il giorno lavoro. Visto che non dormo, guardo questo numero come fosse un gioiello, un bracciale prezioso e immagino di essere una principessa. Invece sono una bambina che non ha nemmeno una coperta. Certe volte tremo così tanto per il freddo che ho paura che sbattendo i denti così forte mi si spezzino tutti. Ma no, almeno i denti ce li ho. Ho solo quelli e mani buone per lavorare, mi hanno detto. Mi hanno messo in una miniera di carbone. Io immagino siano pietre preziose per fare diademi, collane, orecchini e bracciali. Invece le mani mi diventano nere e viola. Nere per il carbone, viola per il freddo. Però il numero non è brutto sulla mia pelle. Io gioco con i numeri e mi esercito a sommarli e a dividerli perché qui non c’è nessuna scuola. La campana non suona mai. Non ho libri, quaderni, matite, non ho maestre. Non posso leggere e scrivere. Allora parlo in silenzio fra i denti che ho sempre paura mi cadano per il freddo. Quando parlo invento storie e coi numeri faccio tanti calcoli. Le addizioni, le sottrazioni, le divisioni, le moltiplicazioni. Io non so se è un gioco bello per te ma a me piace. Gli altri dicono che sono brava. Ma se lo dicono a voce troppo alta li puniscono. Arriva tanta gente alla miniera, neanche il tempo di imparare altri numeri a memoria che spesso l’indomani non li vedo più. Chissà dove finiscono tutti questi numeri sparsi in questo posto.

Non ho capelli. E non so se mi cresceranno più. Forse erano ricci o forse ondulati. Non ricordo il colore ma se potessi scegliere li vorrei rossi. Neanche gli altri hanno capelli. Per questo mi sembra che sia tutto uguale qui e a volte non lo so se parlo con un uomo o una donna. Sento la stessa voce che forse è più un lamento o forse un sibilo. Come quello dei treni che sento in lontananza. Forse dentro quei vagoni ci sono tanti gioielli. Io non so cosa siano le bambole, non ne ho mai avute. Non so come sia il mondo fuori da qui. Forse qui io ci sono nata. Forse i bambini nascono come i numeri. Una penna ad un certo punto decide di scriverli su un grande foglio. I numeri non hanno bisogno di mamme e papà. I numeri sono soli. Poi da quel grande foglio ad un certo punto scompaiono. Sarà una magia di questo posto. Qualcuno li cancella e li porta via. Ho visto tanti numeri accatastati gli uni sugli altri. Una montagna di numeri. Poi la montagna scompare e c’è tanto fumo per giorni nell’aria. Si respira male. Ma se tossisco le prendo perché mi fermo di scavare in miniera. Mangio poco perché cibo non ce ne è tanto. Spesso ho fame e sete e non so come fare, se non provare a fare più saliva dentro la bocca con la lingua.  Mastico ed inghiotto, così per un po’ passa quella sete e quella fame. Però poi torna. Mi danno una strana ciotola di metallo ogni giorno e vi è un brodo liquoroso dentro. Quando bevo quello strano liquido per un po’ sto anche seduta. A volte sono tanto stanca ma ormai la stanchezza è così grande che non la sento nemmeno più. Ho le gambe pesanti, le braccia intorpidite e gli occhi gonfi. Qui la doccia non si fa quasi mai. E poi l’acqua è gelida. Non è bello lavarsi. Il bucato ho imparato a farlo io. Mi hanno dato un po’ di sapone molle e allora ogni tanto se posso prima di andare nel capannone dove dormo, in fretta lavo questo camice a righe e lo metto ad asciugare fuori. Ad un numero non serviva più e lo hanno dato a me un giorno. Così ne ho uno in segreto di scorta. Quando quello che indosso diventa tutto nero, corro a lavarlo e metto in fretta l’altro pulito. Fa tanto freddo dentro il capannone. La mattina trovo il camice con tante goccioline di cristallo. E’ brina mi hanno detto gli altri numeri. Il camice è congelato. Allora lo metto sotto la brandina per tutto il giorno, nascosto e al sicuro. Così almeno lui si riscalda. Le giornate sono tutte uguali. Non lo so quanti anni ho. Non so se i numeri invecchiano. So che i numeri però servono in questo posto.

Non ho fratelli né sorelle. Sono una bambina trasparente. E’ meglio quando nessuno ti vede perché c’è sempre qualcosa di sbagliato che dici o fai e le botte le prendi sempre. Per questo non mi avvicino mai a nessuno. Ho paura degli schiaffi, dei calci, delle manganellate. Poi so che se sei un numero cattivo ti portano al muro e ti fanno sparire per sempre. Ti cancellano come con una grande gomma che però fa rumore quando colpisce il numero e cade. Io ho imparato a stare con gli occhi bassi e a non fare arrabbiare nessuno. Guardo il cielo a volte nei pochi momenti di silenzio, quando torno a sera dalla miniera. Vi è una strada tanto lunga da percorrere a piedi e delle persone che hanno nomi, ti urlano se cadi a terra, se inciampi nella neve, se non cammini con passo svelto. Ma io sono veloce. Allungo le gambe più che posso e salto i cumuli di neve e le pietre grosse. Ormai la strada la conosco così bene che posso alzare gli occhi al cielo e guardare le stelle. Sono numeri luminosi pure le stelle. E inizio a contarle. Vedi neanche loro hanno un nome eppure brillano in tutto quel cielo oscuro.

Sono una bambina trasparente perché non ho una storia e dei ricordi. O forse ho la storia di tutti i bimbi che non hanno nome, non hanno mamma, non hanno casa, non hanno bambole e libri. Non hanno i piatti e le tavole. Non hanno gli abiti puliti e le scarpe nuove. Forse però è un superpotere essere trasparenti. E’ come se il dolore lo senti meno se hai meno corpo e meno peso. Non so dirti come sono finita qui. Non ricordo una carezza, un bacio o un abbraccio. Non so cosa sia uscire da scuola e avere qualcuno che ti aspetti al cancello o ti prepari un pranzo buono o ti rimbocchi le coperte. Ho solo i numeri e le parole. Ho una testa in cui ho spazio per tutte le storie che invento per farmi compagnia. Ma io vorrei vederlo cosa c’è oltre quel filo spinato. Dove portano i treni e se c’è un posto in cui pure io posso avere un nome. Se hai un nome forse la storia cambia. Cambia il finale. Forse questa volta la mano su quel grande foglio bianco scriverà al posto di un numero tante sillabe. Se potessi scegliere mi vorrei chiamare come te. Perché tu una storia ce l’hai e le storie a me piacciono. Le storie salvano dall’orrore. Forse i bambini trasparenti un giorno volano in quel cielo grande e luminoso. Forse diventano fumo e gli altri poi tossiscono. Se divento fumo anche io, sono felice che tu oggi mi abbia fatto tutte queste domande. Non pensavo di meritare tante attenzioni. Nessuno mi ha mai chiesto come mi chiamassi, chi fossero i mei genitori, da dove venissi e q uanti anni avessi. A nessuno è mai importato dei bambini trasparenti ma a te sì e allora siamo amici. Io non ho mai avuto amici. Non ho mai giocato a palla o a campana o a girotondo. Io non ho mai giocato con nessuno. Se ora però siamo amici forse un giorno potremo anche giocare. Non lo se mi puniranno per averti detto queste cose. Qui dentro si deve solo lavorare e non si può perdere tempo. Il tempo è prezioso e il lavoro ci renderà liberi. Ma io mi sento libera. Sono una bambina libera di dire le bugie o la verità. Ed io ti ho detto la verità. Se mi puniscono mi daranno cinghiate, manganellate, forse mi spaccheranno le ossa ma il male passa lo so e invece da qualche parte il bene resta. Se poi mi portano al muro come gli altri numeri e mi fanno sparire tu non avere paura. Accade in un attimo e poi sei nella montagna alta alta dei numeri. Ma tu ormai sai le cose che ti ho detto e magari un giorno le racconterai. Forse i bambini trasparenti non avranno mai un nome ma se sono esistiti vuol dire che dovevano portare in questo mondo qualcosa. Ed io ho portato le mie parole. Non ho altro. Ma se serviranno a non far fare più del male ad altri bambini, usale tutte le mie parole. A te forse sembrano fragili ma le parole sono creature potenti, più degli schiaffi, delle urla e dei pugni. Più delle menzogne. Sono creature che ti permettono di non impazzire dal dolore e di salvarti la vita. Io la mia l’ho salvata così, grazie alle parole. Grazie a te, bambino con un nome, se vorrai parlare un po’ con me’.

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