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Incanto e Pena – di Bia Cusumano

A Gianni Diecidue

Ho sognato un uomo o forse è stata una visione… Che importa? In fondo quanto è sottile il confine tra ciò che è qui adesso e ciò che è Altrove, tra ciò che è e ciò che appare… Un uomo con un cappello di paglia sul capo e un libro stretto al petto. Era seduto sulla spiaggia, ai piedi dell’Acropoli, sotto il tempio C. Guardava il mare con lo sguardo sperduto come se stesse cercando qualcosa… Curiosità direte, ma ha attratto la mia attenzione, mi sono fermata a guardarlo. Nei suoi occhi vi era un misto di incanto e pena. Camminavo sulla battigia, cercando ciottoli rossi. Li colleziono, ammirandone le forme più variegate. Provo pace a raccoglierli sotto l’Acropoli, come se coi ciottoli potessi costruire sentieri e ricongiungere così gli strappi e i lembi della mia vita. Ho preso coraggio e mi sono seduta sulla spiaggia, non troppo vicina ma nemmeno così lontana da quell’uomo da non potergli rivolgere la parola. D’un tratto mi ha guardato, mi ha sorriso dolcemente. Avevo il cappello di paglia pure io, li indosso sempre. L’ho adagiato sulla spiaggia e ho ricambiato il sorriso. “Che cerca, bella signora? – mi ha detto – l’osservavo mentre passeggiava”… “Io? Cerco ciottoli come fossero le cose più preziose al mondo, doni sparsi su questa terra baciata dagli Dei e dimenticata dagli uomini. Qui mi pare di sentire ancora il respiro, il palpito degli Dei dell’Olimpo. Spesso mi siedo davanti Gorgo Cottone e aspetto in silenzio il tramonto. Tutto sfuma dolcemente e le ferite si ricompongono dentro me”. 

“E Lei, Lei cosa fa qui? Mi pare di conoscerla, non so, ha un volto familiare…”

“Io, bella signora, cerco le parole… Quelle che la malattia mi ha rubato, quelle perdute e smemorate che sono finite negli abissi del mio mare. Lo guardi, lo guardi con me… Che meraviglia davanti ai nostri occhi, che bellezza infinita… Le parole cerco… Quelle che per una vita intera ho scritto sui miei libri e ne ho scritto davvero tanti. Le parole d’amore per la mia Nanni che troppo presto se ne è andata, e no, mi creda, non mi sono rassegnato fino alla fine né dopo. Ho perfino pregato il Paludato Dio, ma nulla l’ha sottratta alla malattia. Alle onde nere del dolore e della morte. Io l’amavo, Nanni, signora, e nessuna sirena me l’ha potuta strappare dal cuore, glielo giuro. Lei era tutta la mia vita, il mio respiro, il senso finanche delle mie fughe e dei miei ritorni perché sempre a Lei tornavo, alla mia dolcissima Nanni. E quando se ne è andata, il mondo improvvisamente si è spento. Ha perso i suoi colori, i suoi sapori, il suo senso. Era tutto diverso, pur restando uguale. Ho scritto per Lei versi di struggente amore. Lei soltanto era Casa, era Luce, era Bellezza Geniale. Era una donna dal cuore generoso e forte e mi amava così, con le mie stranezze, le mie eccentricità, le mie visioni. Perché i poeti sono visionari e Nanni lo sapeva che ogni tanto dovevo fuggire, andare via da casa per giorni interi e rifugiarmi dentro le parole, come fossero la mia alcova segreta, il mio Altrove qui, su questa banale terra che tutto e tutti, troppo presto dimentica. Vede, in pochi sanno di me, in pochi ancora mi ricordano e se poi mi ricordano come l’illustre professore, il poeta, lo scrittore di racconti, di teatro, il saggista, uno dei fondatori dell’Antigruppo, ah… Che gloria… Chi, chi ricorda l’uomo? Che ne sanno i miei concittadini del mio amore viscerale per questa terra, delle mie passeggiate lunghissime con il cappello in testa qui tra questi templi, di cui amavo e conoscevo ogni singola pietra, che ne sanno del mio amore tenerissimo per le mie figlie, per i miei nipoti. Che ne sanno della mia intima pena, nell’essere stato taciuto e forse scordato così, così in fretta, dopo tutto l’amore che ho seminato, qui, in questa città, dando e non sottraendomi mai di dare, a tutti, mi creda, signora, ai ricchi e ai miserabili, la mia voce, il mio sorriso, il mio entusiasmo per la vita, il mio amore per la bellezza, per la pace che non è soltanto un ideale o un valore. E’ la capacità di accogliere l’altro, di rispettarlo, di riconoscerlo nella sua diversità, di amarlo così, senza volerlo plasmare a nostra immagine, senza manipolarne i pensieri, i sentimenti. La pace che si costruisce con i gesti, non con le promesse pronunciate ad effetto e smentite appena l’indomani. La pace che si prova nel petto, quasi uno stato di grazia, amando la propria città senza risparmiarsi mai, senza sterili competizioni, senza fazioni contro fazioni, senza superbia ed orgoglio, unendo le risorse, i talenti, come in una famiglia, aiutandosi e sostenendosi, sentendo di appartenere. Parola difficile, anzi desueta o rinnegata, ormai, bella signora. Nessuno vuole più appartenere a nessuno e a niente e tutti si vendono al migliore offerente. Che ne sanno i mei concittadini del mio studio matto per giorni interi in cui non vi erano notti. Sì, ho studiato e scritto davvero tanto e la Poesia è stata la mia amante preferita. Vede che tengo stretto al petto? Un libro in cui ho scritto i mei racconti, dedicati a mio nipote, ora ricordo tutto… Sa, prima la malattia mi ha rubato e sparpagliato ogni ricordo e tutte le mie parole che io ho venerato per una vita intera. Sì, per questo sono qui, oggi, nella mia amata Selinunte, perso a guardare il mio mare. Ho pensato che oggi avrei potuto ritrovare le parole, quelle per dire alla mia Nanni che solo Lei è e resterà il mio unico ed eterno amore. Che l’ho amata, la amo e l’amerò sempre. Le parole per dire ancora una volta alle mie amatissime figlie che la cultura non ha prezzo e non si vende, e che coltivare il senso del dono e della riconoscenza è la meta del viaggio. Le parole per dire al mio picciriddu che deve avere coraggio e tirare fuori dai suoi occhi verdi come questo mare, tutta la grinta e la tenacia che possiede. Non deve temere giudizi e confronti, perché è un bravo picciriddu e come suo nonno scrive con passione. E che aspetto di leggerlo, perché anche lui cerca adesso le parole giuste per tracciare la sua strada. Forse, forse verrà una generazione migliore di questa che consuma e brucia tutto, che dimentica troppo presto, che mente e inganna come fosse nulla, che non ha la forza dei nostri padri di cui siamo figli un poco bastardi. Ci sarà forse un tempo migliore, in cui le promesse saranno sigilli e la Poesia risorgerà proprio da queste pietre. Forse ci sarà una generazione che se ne fregherà di ciò che appare e forse imparerà a prendersi cura di ciò che è. Forse i professori torneranno ad amare i loro alunni come io amavo i miei, e di alunni ne ho avuto davvero tanti. Ho sempre considerato la Scuola la mia Patria, non una azienda come oggi mi dicono sia diventata. Una terra di sogni e desideri, un tempio sacro in cui costruire una umanità migliore con passione e tenacia, leggendo e studiando tanto senza risparmiare forze. Forse un giorno, i professori avranno voglia di imparare prima di avere l’arroganza di insegnare. Magari diventeranno costruttori di bellezza, intesseranno parole come ponti per la pace. Perché a scuola ci si può salvare dall’orrore e dalle ferite del mondo, mia bella signora. A scuola si può diventare Uomini capaci di restare dentro le difficoltà balorde della vita, e non codardi cronici, esuli eterni senza dignità alcuna. Uomini che sanno amare e non usare le persone per nutrire i propri ego, uomini che sanno lottare e resistere per i loro ideali e non giocare a fare i deucci. Come se poi non dovesse finire tutto, mia signora”.

Un respiro profondo, poi il silenzio. L’uomo dal cappello di paglia in testa, mi ha sorriso ancora.

“L’avrò annoiata con i miei discorsi di uomo anziano, ma lei ascoltava, ed io mi sono lasciato prendere la mano. Le voglio fare dono dei versi che scrissi per la mia Nanni, prima di lasciarla andare ai suoi ciottoli rossi, perché l’amore vero resta e non replica, mia bella signora. Resta nella pelle, nelle fibre, nelle viscere. Sterile follia umana rinnegarlo o tradirlo ed il mio per la mia dolcissima moglie non potrà mai venire meno.

Tutti i miei libri li trova nella biblioteca della nostra città, prima di andarmene da questa terra, li ho voluti donare, perché se qualcuno vuole sapere chi sono, non li deve comprare. La cultura è di tutti, dei pastori come dei professori, non si vende e non si paga. Mi legga, mi legga signora. Le parole sono l’ultima frontiera, l’ultima salvezza che ci resta, l’unico argine alle ferite del mondo, l’unico approdo su questa terra perduta e devastata.  Venga qui a cercare pure le Sue di parole, perché tutte le troverà. Questa è una terra generosa e feconda e quanto, quanto l’ho amata io. Ma dell’amore può restare polvere e maceria? E Dio, signora, li risparmia i poeti dalla notte nera? Ecco prenda il libro, lo porti nelle sue classi, lo dia ai suoi alunni, parli di me, mi faccia leggere, racconti le mie avventure, i mei sogni, i miei smarrimenti e pure le mie lacrime. Mi faccia uscire dalla biblioteca e dai testi divorati dai tarli del tempo. Lo dica che io ho amato tutti, che ho vissuto intensamente e non mi sono mai risparmiato. Che sono stato un uomo con i mei vizi, i mei difetti e le mie fragilità e non me ne sono mai vergognato, certo neanche fatto un vanto ma sono stato un uomo libero, autentico, senza maschere. Non ho mai finto d’essere diverso da quello che sono e non ho avuto mai padroni. Ho creduto e vissuto per le parole e i mei sogni e quelli più belli li ho concepiti qui per i miei concittadini. Sono stato un sognatore, ho amato senza misura e non me ne faccio alcuna colpa. Ho avuto una vita piena, una bella famiglia, tanti amici, tanti alunni, tanti libri per compagni e sono riuscito anche ad essere felice… Ma ora provo una amara pena per questo mondo così alla rovescia. No, non credevo che così presto si potesse dimenticare chi si è giurato di amare. Sono triste davanti questi tempi così vili, come fosse alla deriva ogni speranza di cambiamento. Ma lei ci crede, io lo so, lo vedo dentro i suoi occhi, dolce signora, che la bellezza salva. Porti ardore nel mondo, sogni, incanto, stupore, amore e della pena segreta che prova nel petto, non si curi. Tutto passa, su questa scena di mondo. Solo l’Amore che abbiamo saputo dare e la Poesia restano”.

Si è alzato l’uomo con i capelli bianchi e il sorriso dolceamaro, si è incamminato verso Gàggera. Come ha fatto non so, ma si è dileguato oltre l’Acropoli. Mi ha lasciato un libro, un cappello e tutte le sue parole. Ho sorriso, quando ho capito che era Gianni, Gianni Diecidue.

Ah sì lu professuri a cui tutto era concesso, lo storico, il saggista, il drammaturgo, il poeta, il docente. Ma io sotto l’Acropoli, nella terra baciata dagli Dei, ho incontrato solo l’uomo. Ho continuato a raccogliere ciottoli rossi e ogni ciottolo è diventato una parola di questo sogno o di questa visione. Poco importa, cosa sia. In fondo come è sottile il confine tra ciò che è qui adesso e ciò che Altrove, tra ciò che è e ciò che appare, come è sottile… Tanto che sembra di sentirli questa notte, sotto questo cielo, tutto l’incanto e la pena di Gianni, del nostro Gianni, che no, non vogliamo, non possiamo dimenticare.

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