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Libri

“La terapia dei bar”, di Paolo Ciampi. Con due pagine dedicate anche a Marettimo…

Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, pubblica il suo nuovo libro, con Ediciclo, dal titolo “La terapia dei bar”, dove parla di alcuni bar. Tra questi, in un paio di pagine a firma dello scrittore Massimiliano Scudeletti, autore tra l’altro de “L’ ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia”, si trova anche il bar Tramontana di Marettimo. Ecco il testo.

(..)Sapevi che era partito per Marettimo, regolare come gli uccelli migratori che con precisione matematica tornano al luogo cui appartengono. Non ti aspettavi però che ti scrivesse da un altro bar dopo sul Trento. Massimiliano sta davvero prendendo sul serio il tuo invito sulle storie e questo ti fa ben sperare.

Ti scrivo seduto al Caffè Tramontana a Marettimo, la più sperduta delle Egadi dove la terraferma è solo un ricordo e lo scirocco la fa da padrone. Lui, il vento, decide se l’aliscafo arriverà o meno e fa saltare il banco delle certezze degli uomini moderni che amano il controllo. Qui si capisce perché si pregava o si facevano sacrifici al ritorno o prima di partire.

Di quante isole abbiamo parlato assieme nei bar? Di molte ne abbiamo anche scritto, ma non siamo mai partiti assieme, magari per una strana saggezza: le cose non fatte mantengono le promesse, rimangono intatte. Proprio in un bar abbiamo convenuto che l’unica scrittura di viaggio che oggi ci piace narra di posti che non abbiamo visto o che non esistono. Arrivare è possedere, e forse è un peccato

 Dai bar però abbiamo mollato gli ormeggi tante di quelle volte che se ci avessero dato una birra… saremmo quello che siamo.  Ma qui e ora siamo contemporaneamente in un’isola e in un bar quindi siamo doppiamente nell’altrove e ci piace.

Sediamo all’aperto in uno spazio che è terrazza e strada allo stesso tempo, i tavolini con piastrelle di maiolica siciliana hanno i colori del mare.

Qui ho preparato le mie battaglie, ho accettato le sconfitte, mi sono dato quartiere – anche se sai che questo non mi appartiene –. Qui ho detto addio alle persone che ho amato e spesso mi sono alzato più leggero. È merito del Tramontana, del bar, del vento che quando spira proprio dal Castello porta via proprio tutto, anche la malinconia per ciò che non è stato.

Qui si placa una malattia di cui non riuscivo a parlarti perché non avevo la parola per definirla, me l’ha spiegato mia moglie parlandomi con la lentezza che si riserva a un ragazzino testardo. Qui, dice, sono a mio agio, come se mi calasse la febbre. Credo che sia perché spegne la… se la nostalgia  è l’ansia per il ritorno, come si chiama l’ansia per essere altrove?

Posso scansare il vecchio dizionario di greco, saltare quelle fantastiche parole tedesche composte adatte ai filosofi. Me la caverò con nomadalgia. Brutto, ma so che capisci e che ridi di questa trovata da bar, mentre alziamo simultaneamente le mani per ordinare.

Comunque qui parlare diventa superfluo e sempre di più capisco i vecchi del posto che in sandali e calzini bianchi, appoggiati al parapetto, scrutano l’orizzonte. Perché spiano ogni tramonto come se gli dovesse riportare qualcosa? O qualcuno?

Un’ultima cosa prima di alzarsi: ti ho lasciato la vista sullo Scalo Vecchio tenendomi il Castello, è pericoloso perché è l’ora dei riflessi e questo scintillio strega. Infatti parlo da solo al Caffè Tramontana dove ancora non sei venuto.

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