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Centoundici gradini – di Bia Cusumano

《Ad ogni Faro, di ogni vita》

“Ciao Giuliana” – una voce, un’ombra, una presenza che riemergeva dal vuoto paludoso di una assenza di anni. Uno sguardo appena, fugace tra i due, così come fosse per caso. Ma nulla mai tra loro lo era stato. Arrivavano prima le loro energie e i loro corpi si parlavano in segreto da lontano. Poi arrivavano i loro occhi intensi, uno sguardo che scavava dentro, come fosse un coltello nelle viscere.

“Ciao Riccardo”… appena una risposta di cortesia a quel saluto.

“Ho tempo per parlare? – le disse”.

“Appena centoundici gradini, poi ho un impegno importante” – rispose Giuliana”.

“Non so da dove cominciare – disse Riccardo – troppi anni per avere solo una scala da scendere che ti conduce a lui. Davvero lo sposi? Mi hanno detto che il ricco uomo d’affari americano ti ha regalato un anello di rubini rossi e che fra sei mesi ci sono le nozze. Vorrei che non fosse finita così male tra noi. Vorrei che riuscissi a perdonarmi. Non mi hai cercato più, non mi hai scritto più, non mi hai nemmeno salutato più. Sei scomparsa nel silenzio più assoluto. Forse ti sei innamorata sul serio”.

“Riccardo, per piacere, con i tuoi vorrei hai costruito e demolito la nostra storia. Vorrei una figlia, vorrei sposarti, vorrei la nostra casa, vorrei che mi capissi, vorrei capirti, vorrei che i mei genitori accettassero il nostro amore, vorrei non provare questa perenne inquietudine, vorrei mi rispettassero di più piuttosto che farmi sentire un perenne fallito … per piacere! Non vivo più di condizionali ma di indicativi presenti.  Di tempo ne è trascorso! Poco importa se mi sposo e con chi, non pensi? Se mi avessi amato sul serio al dito porterei il tuo di anello, quello che non hai mai avuto il coraggio di regalarmi. Il ricco uomo d’affari, come lo chiami tu, riesce a darmi quello che non hai mai voluto avere con me, Ricky. Cazzate che non hai saputo. Chi ama, riesce. Tutto qui. Le mie sono state inevitabili scelte, ad un certo punto della nostra storia, ma non per ripicca o vendetta. Esistono diversi tipi di amore, lo hai dimostrato al mondo intero tu, quando hai sfoderato come nulla fosse, ex abrupto, per chi non sapeva nulla di noi, non certo per me, giurando e spergiurando nel frattempo nel nostro letto di amarmi, la tua sirenetta dai capelli biondi con bimbetta al seguito. Ma tu sai bene la verità, che io ho taciuto e continuerò a tacere. Perché io a differenza tua, Riccardo, ti ho amato sul serio e quando ti dissi che ti avevo scelto, non erano parole. Le tue invece, purtroppo, sono state solo parole, anzi meglio … menzogne e inganni strategici. Mi hai preso per il culo per quanto tempo? Fedeltà … Riccardo, dovevi solo essere fedele all’Amore che fermava il mondo. O forse ha solo fermato il mio, per anni. Il tuo ha continuato a girare sulle tue inutili tresche e finte promesse”.

OTTANTA GRADINI

“Mi odi, tu mi odi ed io questo non riesco a sopportarlo. Non riuscivo a gestire il tuo amore come non riuscirò mai a gestire il tuo odio. Avrei voluto, sì vorrei, uso ancora il condizionale, che mi perdonassi sul serio, che capissi che sei e sarai sempre tu l’amore che non passa e che ogni volta che ti ho incontrata in tutti questi anni è sempre stato un colpo al cuore. Sei una ferita di ossidiana tu, per me, non rimargini e non rimarginerai mai. E’ la verità, cazzo! Ma io ero un ragazzino, non ero in grado di stare con te. Sei una artista, tu, appartieni ad un Altrove in cui io mi sono smarrito. Io non ho saputo starti vicino, come desideravi tu, come era giusto, lo so, ma non mi hanno insegnato la fedeltà, l’appartenenza e non sono cresciuto nella verità. Forse sono un infelice cronico, come hai sempre detto tu. Ho dovuto sempre mentire io, per essere accettato, compreso, forse amato giusto un po’, per sopravvivere in quella casa. Ho sbagliato a tradirti e a mentirti, lo so, non sono un coglione. Ho una coscienza anche io, cosa credi? Penso spesso alla nostra storia e a te, soprattutto quando ti incontro e ti vedo così bella, con quello sguardo che toglie il respiro. Riesci sempre a catalizzare su di te, i miei occhi e il mio battito. Io ero troppo geloso del tuo mondo segreto, di cui solo tu eri la sacerdotessa, di questa tua luce che non so neanche da dove giunga. Meglio per me una donna normale, che non si faccia troppe domande, che non chieda troppo, che non abbia tutta la tua cultura e tutte le tue infinite parole. Meglio una donna come la sirenetta, come la chiami tu. Non mi crea problemi, non è esigente. Mi lascia i mei spazi, non vuole nessuna casa, nessun figlio, nessuna sicurezza, nessun futuro. Nessuna Itaca a cui approdare e anche se la dovessi sposare è solo perché è l’unica cosa che mi resta. Io non sono fatto per stare solo, lo sai. Ma al matrimonio non credo, è una farsa per me. Lo sarebbe anche con lei, cosa credi?”.

SETTANTA GRADINI

“Riccardo, non so perdonarti. Come tu non hai saputo amarmi veramente, se non forse nella tua folle testa. Io non so perdonarti. Avevi tutto. Avevi me. I nostri riti, la nostra passione, la nostra intesa perfetta, il nostro mondo, il nostro futuro. Dovevamo andare a convivere, vi era la casa quasi ultimata, parlavamo di una figlia nostra, la nostra Rita. Ma tu lo capisci, cosa hai fatto? Non è possibile perdonarti. Ti ho fatto da madre, da sorella, da amica, da compagna, da amante, da collaboratrice. Sono stata sempre dalla tua parte, provando un orgoglio smisurato nell’averti accanto. Mai gelosa o invidiosa della tua cultura, della tua classe. E tu invece ti vergognavi di me, mi tenevi nascosta, come fossi cosa? Una cenerentola o una poco di buono? Non mi capacito. Mi sono presa cura di te, come fossi un bimbo, ho annullato e sacrificato tutto per te. Ti ho fatto entrare in quel fottuto mondo segreto di cui parli. Sono stata la tua curandera, la tua sacerdotessa, la tua musa. Mi hai umiliato nel peggiore dei modi davanti tutti e lo sai. Ai tempi, nessuno sapeva di noi e del nostro ultimo anno tormentato, tra addii e notti di fuoco, tra ti amo giurati e rinnegati, ma noi sì, cazzo! Io sì, tu sì. Lo sapevi, lo sapevi che ci amavamo da morire. Che eravamo una sola carne. Un solo destino. Che eravamo Faro. Non basta adesso chiedere perdono per mettere tutto a posto. Io mi sposo fra sei mesi e questi discorsi non dovrebbero neanche esserci. Inutile parlare di un amore naufragato e inabissato per la tua mancanza di fedeltà e coraggio. Tieniti pure la sirenetta e la bambinetta dalla voce petulante e ti prego di permettermi che io possa dimenticarti in pace. Vorrei e questa volta il condizionale lo uso io, vorrei solo dormire un secolo, forse due, per dimenticare tutto il male gratuito che hai fatto al nostro immenso amore… Quella ferita di ossidiana che non rimargina, come dici tu. Per questo mi sono trasferita lontano da te . Non era concepibile, vivere tutti nella stessa città per incontrarsi ad ogni passo, in ogni posto, in ogni locale, in ogni via, per caso. Preferisco non incontrare né te né lei, né la bambinetta. Preferisco che non incroci i mei occhi e non posi i tuoi su me e Vittorio. E’ un uomo per bene, lui, con la capacità di esserci e restare. E non tradisce, non rinnega. Non è fottutamente orgoglioso come te. Per questo me ne sono innamorata. Altro che montagne russe! Un giorno il paradiso e poi l’inferno dei tuoi silenzi, dei tuoi blocchi, delle tue scomparse e apparizioni fugaci. Non abbiamo quindici anni, per favore. Hai perfino disinstallato la nostra app, cancellando tutte le nostre parole e i nostri versi d’amore, di anni di bellezza assoluta, che no, non torneranno, mi spiace. Come posso perdonarti? Eri il mio mondo. Noi eravamo Itaca. Non ci riesco. Non con te, almeno. Ho perdonato tutti ma proprio tutti ma tu hai trucidato un amore vivo. Preferisco un altro genere di vita. Vittorio mi dona pace e stabilità, tra le sue braccia sono al sicuro e non si è mai messo, né mai si metterebbe in competizione con me. Non cerca di cambiarmi, neanche di una virgola. Mi ama così, con le mie stranezze e le mie eccentricità, i miei brillantini, i mei vezzi, i mei sguardi da cerbiatta. Non teme nulla e nessuno. Si fida, sa che non lo tradirei mai, non gli mentirei mai, che non sono una donna così come mi hai dipinta tu, con amanti vecchi e giovani ovunque. Perché io, Riccardo, non ti ho mai tradito durante la nostra storia e tu invece mi hai tradito senza ritegno, mentendo senza pudore, guardandomi dritto negli occhi, fino alla notte del posteggio, chiamandomi Amore. Come hai potuto? E poi, come se non bastasse, hai detto quelle parole terribili, quell’ultima volta in cui parlammo d’estate. Da allora sono scomparsa. Pensaci un po’ su, se sei davvero così intelligente. Quelle parole, sono state per me l’ ultimo sputo”.

CINQUANTA GRADINI

“Lo so a quali parole alludi. Ti dissi: “Voglio essere un uomo migliore e ti allontanai in quell’ultimo bagno che facemmo sotto i templi. Sono orgoglioso e forse coglione, ma sono un uomo intelligente. Hai pensato che cercavo di essere un uomo migliore per lei e non ci sono mai riuscito per te. Lo so. Sono stato un codardo a non dirti la verità, quando avrei dovuto. Non volevo perderti all’inizio, ero disperato e poi ad un certo punto volevo dimenticarti, andare avanti, provare ad essere felice senza te. Lei era lì, semplice, essenziale, senza troppe pretese e pensieri sofisticati. Non è un’artista come te. Non si faceva domande, sapeva tacere, stare al suo posto. Lasciava tutto il palco e le luci per me. Era una storia semplice, a parte la bambinetta, come non lo capisci? Poi mi sono incastrato, non so come e perché, è accaduto. Ti ho perso e mi sono convinto fosse la cosa migliore. Tu sei una donna così impegnativa. Intensa, passionale, profonda ma impegnativa, non puoi negarlo, Giù. Ero stanco di soffrire, di avere sempre tutti contro, per Te. Volevo la mia normalità. Sì, volevo fare il ragazzino. Essere spensierato, ridere, giocare a racchette, far tardi la notte, ballare, uscire, fare viaggi. Sì, sono stato ad Ischia, Capri, Roma, Catania, ho girato un po’ ovunque senza te. E’ vero. Volevo non pensare, divertirmi. E’ stata una reazione disperata a tutto il dolore. Io non credevo però finisse così male”.

TRENTA GRADINI

“Bene, ora che sai che sposo l’uomo d’affari americano, ora che sai che non posso perdonarti e che non rimarginerai mai dentro me e che no, non riesco tutt’oggi a scordare i tuoi inganni e le tue menzogne costruite ad hoc, ora che sai che mi sono trasferita altrove per dignità e che invece io non sono una ragazzina che fa scelte per ripicca, per reazione al dolore, possiamo chiuderla qui? Tanto sono sempre gli stessi discorsi da una vita e sarebbero sempre gli stessi, perché tu, Riccardo, non sai costruire. No, non sai appartenere. Siamo felici entrambi, mi sembra di capire, tu con la sirenetta e baby al seguito ed io con Vittorio. Ti ho detto già tanto tempo fa che l’amore non replica. Eri la mia Itaca, Ricky e l’hai divelta con la stessa facilità con cui hai rinnegato il nostro immenso amore. Come nulla fosse … non dovevamo poi contare un cazzo per te, per comportarti così! Ergo, ognuno per la propria strada, sempre dritto, svoltando oltre la pineta”.

VENTI GRADINI

“Aspetta, Giuliana… Guarda che continuo a leggerti, a seguire tutti i tuoi progetti letterari. Sono orgoglioso di te e del tuo innegabile talento.  Provo disgusto per l’uomo che sono stato nell’ultimo periodo della nostra storia. Cinico, egoista, anaffettivo, bugiardo e fedifrago. Mi hai amato così tanto che se pure per cento vite intere mi odiassi, il tuo amore mi resterà sempre impinto dentro, te lo giuro. Mi manchi. Mi manca parlare con te, nutrirmi delle tue riflessioni profonde, della tua bellezza viscerale. Mi mancano le nostre notti fatte di tanta tenerezza e passione e della tua infinita profondità, delle tue intuizioni e percezioni. Tu che parlavi, parlavi finché non mi addormentavo e strattonandomi dolcemente, ad un certo punto, mi dicevi: ma mi hai ascoltato? Che ti ho detto? Ripeti! Come faccio a dimenticare…”

Un sorriso amaro, si stampò sul volto di Riccardo. Giuliana lo guardò con occhi feroci, di brace, come quando si incazzava stando con lui, durante i loro perenni litigi che finivano tra urla e baci appassionati, a letto.

“Parole, Riccardo, parole. Le più belle forse che una donna si sia sentita dire o vorrebbe sentirsi dire. Ma purtroppo solo parole che resteranno qui, incastonate tra questi centoundici gradini. Non hai mai avuto il coraggio di amarmi sul serio”.

CINQUE GRADINI

“Sei e sarai sempre tu l’Amore della mia vita. Non è vero che non ti ho amato. Non è vero. Ti ho amato, ti amo e ti amerò per sempre Giuliana. E’ così. Sei l’Amore che non replica. Volevo solo dirti questo ma tu mi odi paradossalmente per lo stesso motivo per cui io ti amo. Auguri per la tua nuova vita. Dentro me sei e resterai Itaca. Comunque vada, sappi che i mei occhi ti guarderanno sempre come il giorno della prima carezza, tutte le volte in cui ti incontrerò da sola”.

Un sospiro di dolore.

“Ciao, Giuliana…”

“Ciao, Riccardo…”

Centoundici gradini, quanto basta per ripercorrere un amore infinito e dirsi tutto in un semplice saluto e uno sguardo fugace. Centoundici gradini verso la verità. Qualunque fosse. Riccardo e Vittorio. Il passato e il futuro si bilanciavano nel cuore rotto di Giuliana.

“Hey – disse Vittorio – sei in ritardo, che fine hai fatto my love? Abbiamo la prova degli abiti, oggi, lo hai dimenticato, mia red lady? L’autista ci aspetta. Quanto ci vuole ad arrivare?”.

Appena un bacio dentro un singhiozzo soffocato nell’anima. Giuliana lo abbracciò teneramente. “Hai ragione – rispose – gli uomini per bene, non si fanno aspettare. E’ stata davvero una scala interminabile, ma sono qui, adesso, no?”.

Vittorio la guardò, respirò il suo fiato e da uomo per bene, non disse nulla. Capì e amandola profondamente, la strinse sui fianchi: “Sei bellissima, my red Juls – disse –  una donna come te, si incontra solo una volta nella vita. E sorrise”.

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