“Per aver intrapreso attività di volontariato volte al sostegno dei pazienti oncologici garantendo loro il diritto alle cure necessarie”.
“C’era una volta una bambina che sognava di cambiare il mondo…” che partecipò a una seguitissima puntata del Maurizio Costanzo Show in cui ha raccontato la sua adolescenza fuori dagli schemi e rivendicato il diritto alla non omologazione. Una puntata cui hanno fatto anche seguito minacce di morte e insulti, ma da cui lei ha sempre tratto la forza di non scendere a compromessi e di impegnarsi, per gli ideali di giustizia sociale e solidarietà in cui ha sempre creduto. Impegnarsi in politica, nel suo paese, dove è stata eletta in Consiglio Comunale, seguendo le orme di un padre amatissimo, che le ha trasmesso la passione per la verità e le battaglie nel nome dei diritti. Una vita vissuta all’insegna della libertà, fino all’incontro con i problemi inaspettati e durissimi, che non l’hanno mai piegata, e che l’hanno portata nel mondo di oggi, che sa raccontare di fronte a telecamere importanti, commuovendo tanti, tantissimi, che conoscono o apprendono per la prima volta la sua storia.
Mirna Mastronardi, madre di una splendida ragazza di nome Anna Dea, fondatrice dell’Associazione “AGATA – Volontari contro il cancro”, nata per volontà di un gruppo di donne di Marconia che avevano avuto esperienza diretta con il cancro, che ha voluto offrire dal 2017 sostegno e supporto agli ammalati neoplastici e ai loro familiari, è stata insignita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’onorificenza al Merito della Repubblica Italiana, per essersi distinta, come gli altri 29 cittadine e cittadini individuati, “per un’imprenditoria etica, per l’impegno a favore dei detenuti, per la solidarietà, per il volontariato, per attività in favore dell’inclusione sociale, della legalità, del diritto alla salute e per atti di eroismo”.
E’ così che “Il Presidente Mattarella ha individuato, fra i tanti esempi presenti nella società civile e nelle istituzioni, alcuni casi significativi di impegno civile, di dedizione al bene comune e di testimonianza dei valori repubblicani”. Esempi tra i quali figura anche Mirna Mastronardi, “Per aver intrapreso attività di volontariato volte al sostegno dei pazienti oncologici garantendo loro il diritto alle cure necessarie”.
“Rivolgo la mia più sincera e commossa gratitudine al nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – dice – per avermi ritenuta degna di tale straordinario riconoscimento, che sono onorata di ricevere. Tra le lacrime che non smettono di scendere, il mio primo pensiero va alla memoria di Lucia Viggiano, che non smette di vivere nel mio cuore, con la quale condivido moralmente questa onorificenza. Un grazie a mia figlia Dea, che ha rinunciato a tanto per consentirmi di rendere grande Agata al servizio dei malati di cancro. Un pensiero ad ogni malato di cui ci siamo presi e ci prendiamo cura. Un abbraccio sincero e un ringraziamento a chi mi è stato accanto durante la mia malattia. Grazie a chi è stato al mio fianco in questi anni difficili, tenendo duro e lavorando gratuitamente per Agata giorno e notte. Un pensiero alla mia famiglia ma anche alle mie sorelle e fratelli di cuore. E un pensiero colmo di affetto a chi rappresenta un faro per me, ogni giorno”.
Agata è nata per portare una carezza, per ridere insieme, per asciugare ogni lacrima, per offrire una spalla solida su cui un malato oncologico possa poggiarsi per riprendere fiato.
Qualche settimana fa, nel programma “Cartabianca”, di Bianca Berlinguer, in onda ogni martedì alle 21.20 su Rai 3, Mirna Mastronardi aveva raccontato la sua storia, per portare a conoscenza dei telespettatori le lotte per i diritti quotidiani del Sud intero in modo particolare per il diritto alla salute, e alle cure. Le paure, le difficoltà di chi si imbatte nella malattia, senza adeguato supporto e mezzi a disposizione per contrastarla in tutti i suoi obbligati e numerosi passaggi dovuti anche a una burocrazia che piega.
Questa la motivazione dell’onorificenza la consegna si svolgerà presso il Palazzo del Quirinale il 24 marzo 2023 alle ore 11.30:
Mirna Bruna Mastronardi, 50 anni, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: “Per aver intrapreso attività di volontariato volte al sostegno dei pazienti oncologici garantendo loro il diritto alle cure necessarie”
Fondatrice e vice Presidente dell’associazione “AGATA – Volontari contro il cancro ODV ETS” ONLUS di Pisticci. Mirna ha deciso di istituire l’associazione dopo aver scoperto di essere malata di cancro ed essere stata aiutata in questo percorso dal sorriso della figlia. “Agata è nata perché nessuno si senta solo”.
Dopo aver attivato una linea telefonica a cui i familiari dei pazienti oncologici possono rivolgersi per chiedere aiuto o semplici informazioni, anche in forma anonima, l’associazione si è presentata alle istituzioni, alla ricerca di un confronto utile che mettesse al centro i malati e venendo incontro alle loro necessità. Un primo importante traguardo raggiunto è stato ottenere dall’ASM Matera l’accesso prioritario ai prelievi ematici per i pazienti in trattamento chemioterapico. Grazie ad una importante campagna di raccolta fondi, l’associazione ha acquistato un mezzo di trasporto tramite il quale i pazienti oncologici sono accompagnati, del tutto gratuitamente, ad effettuare i trattamenti chemioterapici. Nel maggio 2022 è stata eletta nel nuovo Comitato esecutivo 2022-2026 della FAVO, Federazione nazionale delle associazioni di volontariato in oncologia.
Mirna Mastronardi è autrice di una lunga lettera rivolta al mondo della sanità, che riportiamo per intero, per chi volesse conoscerla:
“Carissimi medici, gentilissimi operatori sanitari, illustri direttori,
oggi avverto la necessità di scrivere, perché i miei pensieri non meritano di essere affidati al chiacchiericcio
o ad un mero passaparola.
A questa lettera ho necessità di affidare quello che ho nel cuore, insieme a quanto affolla la mia mente da
anni ormai.
Io sono Mirna, la mamma di Dea, una donna come tante, una storia oncologica come tante.
Nasco 50 anni fa in una famiglia il cui ramo materno è costellato da diagnosi di tumore mammella/ovaio per
cui si muore fin dagli anni ’30. Sarà stato per questo che ho sempre sentito dentro me che questa era una
storia che mi apparteneva. O forse l’ho avvertito prepotentemente quando il cancro al seno ha toccato la
mia migliore amica, Lucia, all’epoca mamma di due bambini piccoli. Io l’ho vegliata nella sua prima notte in
ospedale, nel post-operatorio dell’intervento al seno, al Policlinico di Bari, quella notte del 3 agosto 2007.
Qualche anno dopo è stata lei a vegliare me, nella prima notte in ospedale, nel post-operatorio del mio primo
intervento al seno, all’istituto tumori di Bari, il 4 agosto 2015. In quella mia prima di tante volte, una sola
notte di degenza seguita dal ritorno a casa, con drenaggio al seguito, dalla mia bambina che aveva solo 6
anni.
In quel momento la mia storia era sui giornali, dai locali a quelli nazionali, perché poche settimane prima,
quando mi ero recata in ospedale ad effettuare la mammografia, con prescrizione del mio medico curante,
regolare prenotazione e ticket pagato, mi era stato intimato di andar via e riprenotare per non aver rispettato
i mesi necessari per il controllo (12). Se lo avessi fatto, avrei dovuto attendere altri due anni, mentre nel mio
seno era palpabile un nodulo che già avevo segnalato 11 mesi prima, ma che nel frattempo era
evidentemente cresciuto. Pur con le lacrime di rabbia sul viso, non ho abbassato la testa. Lo dovevo a me e
al presentimento che avevo nella testa, ma lo dovevo anche a tutte le donne che avevano e avrebbero vissuto
la stessa esperienza. Dopo un immediato post su facebook, una segnalazione all’assessorato regionale alla
sanità ed un colloquio vivace con il direttore sanitario della struttura a cui mi ero rivolta, mi è stata effettuata
la mammografia prescrittami, seguita da ecografia, visita senologia e agoaspirato (“ma vedrà che non è nulla,
signora! Lo facciamo solo per precauzione, ma per favore, non segnali l’accaduto”). Ho rimesso piede in
quell’ambulatorio quando mi hanno consegnato il referto, “C4! Ci sono cellule in trasformazione… questo
non vuol dire… e però… se vuole può rivolgersi alla nostra chirurga, le fissiamo noi un appuntamento…”.
“Grazie, avete fatto anche troppo, arrivederci!”. Il giorno dopo ero in altra regione, da un chirurgo che mi ha
ricevuta privatamente anche se di sabato, mentre la mia storia diveniva pubblica. Poche ore dopo la
pubblicazione degli articoli di stampa sul caso, mi è giunta la lettera formale di scuse da parte dell’Asl di
riferimento, “con forte partecipazione emotiva alla importante vicenda personale di salute e dolenti per
quanto accaduto”.
Al primo intervento è seguito un istologico che rilevava altre cellule lungo i margini di resezione, tanti pareri
discordanti, poi il viaggio verso Pavia, il test genetico, la mastectomia bilaterale. I viaggi della speranza,
continui, per i controlli e per gonfiare gli espansori che mi avrebbero aiutato a credere di avere ancora un
seno, le difficoltà nei movimenti, l’impossibilità di prendere in braccio mia figlia, le lacrime, i tanti soldi spesi,
il dolore e poi pian piano la ripresa, il ritorno a lavoro. La luce che torna a riaccendersi, mista alla volontà di
“passare il favore” che avevo ricevuto da quegli angeli custodi terreni che mi avevano aiutato a superare i
momenti di difficoltà più nera.
Dopo gli interventi di ricostruzione e poi di annessiectomia ho voluto provare e creare una nuova
quotidianità, qui, nella mia terra. Ho scelto con cura l’oncologo da cui farmi seguire, nel polo oncologico
lucano, distante da me 150 km e due ore di strada. L’ho fatto consapevolmente, convinta della sua grande
competenza e colpita dalla sua grande umanità. Fidandomi di lui, ho seguito le sue indicazioni, affidandomi
a specialisti della stessa struttura per ogni altro approfondimento e scoprendo così un mondo fatto di
professionalità e sensibilità al servizio del malato di cancro.
E’ stato in quei giorni che mi sono messa al lavoro con impegno per dar vita ad Agata. Al mio fianco, insieme
ad altre donne, sempre la mia migliore amica, Lucia. E però in quel periodo era stanca. Era tanto stanca.
Certo, lavorava molto come chef e si ritrovava a fare le ore piccole, ma quella sua grande stanchezza e quella
tosse continua mi destavano grande preoccupazione. Le nostre paure si materializzarono una mattina di
metà dicembre 2016, quando giunse la dolorosa chiamata di Joe. A distanza di anni dal tumore primario alla
mammella, Lucia si ritrovava a fare i conti con le metastasi. Piangemmo insieme e poi ci tirammo su, come
era necessario per affrontare quello che si preannunciava un nuovo pesante percorso. Avrebbe potuto
scegliere qualunque struttura per farsi curare, suo marito Toni l’avrebbe accompagnata anche in capo al
mondo se avesse voluto, ma volle rivolgersi lì dove io stavo seguendo il follow-up. Fu così che anche lei scelse
la Basilicata. Come in precedenza aveva fatto Anna. E poi Laura…
L’istituto a cui tutte noi ci siamo affidate lo abbiamo vissuto profondamente. Le mattonelle dei suoi corridoi
potrebbero raccontare e raccontarci. Lo abbiamo amato. Sì, perché una struttura sanitaria del genere ogni
malato la vive come fosse il maggior alleato nella battaglia contro il cancro. Un alleato, un amico. Una
struttura da amare e rispettare profondamente. Il rapporto con la direzione era quotidiano, cordiale e
collaborativo. Lucia divenne addirittura testimonial del 5xmille, anche quando ciò rischiava di confliggere con
il dono del 5xmille alla nostra associazione Agata, che nel frattempo era nata per mettersi al servizio dei
malati di cancro in difficoltà della nostra terra.
Agata è nata da noi, pazienti, per mettersi al servizio dei pazienti. Come coloro che, ad esempio, che non
erano in condizioni di raggiungere l’istituto da soli e che – vista la totale assenza di mezzi pubblici di trasporto
che consentissero i tempi delle infusioni dei farmaci chemioterapici – Agata scelse di accompagnare a proprie
spese e con i propri mezzi.
Da gennaio 2018 il nostro pulmino cominciò ad attraversare la Basilicata, trasportando malati di cancro e
speranza. La prima paziente a viaggiare fu proprio Lucia. La nostra vicepresidente. La nostra portabandiera.
Tramite lei abbiamo vissuto punti di forza e di debolezza del sistema sanitario regionale. Ci siamo addentrati
negli ambulatori che trattavano e trattano il cancro. Abbiamo conosciuto persone, storie, professionisti.
Negli anni in cui ho avuto l’immenso onore ma anche l’onere di essere al timone di Agata,sono state centinaia
le persone di cui ci siamo presi cura, con amore e riservatezza. E continuiamo a farlo adesso che di Agata
sono la vicepresidente, al fianco di una splendida nuova presidente e di un nuovo direttivo, sempre animati
dallo stesso amore e dalla stessa determinazione.
Mille e mille volte e a voce alta abbiamo ripetuto in questi anni che si può aiutare un malato solo facendo
squadra con le famiglie e i medici e gli ospedali, ma anche con le istituzioni.
Fare squadra. Eppure, ci sono stati momenti, tanti, tantissimi momenti, in cui abbiamo visto medici e
operatori sanitari lavorare duramente, ma quasi in solitudine. Come soli ci siamo sentiti noi, durante la
pandemia, quando abbiamo sostenuto costi altissimi pur di non abbandonare i malati a se stessi e garantire
il servizio di accompagnamento in sicurezza. E questo nonostante le porte degli ospedali di tutta Italia fossero
state chiuse ai volontari. Non ci siamo fermati, pur potendo contare sulle nostre sole forze, di fronte ad
istituzioni che non hanno ritenuto di sostenere quei servizi da noi offerti e che si sono rivelati indispensabili
per l’accesso alle cure di tanti e tanti e tanti e tanti malati.
Mantenendo un filo diretto con i medici, abbiamo lavorato all’ombra del Covid, senza fermarci mai. Abbiamo
scritto lettere di encomio pubblicate sui giornali, detto e scritto nomi e cognomi di professionisti che hanno
sacrificato famiglia e vita privata per fornire un sostegno concreto ai malati di cancro. Abbiamo assegnato e
riassegnato premi e pubblicato video del lavoro straordinario che taluni svolgono a favore di molti, ben oltre
i limiti di un contratto di lavoro. Persone dal cuore immenso, che hanno fatto del loro mestiere una missione.
E però… E però noi malati di cancro non viviamo nel mondo perfetto. In Basilicata e in Italia. Contiamo su una
sanità pubblica che obbliga a liste di attesa spesso troppo lunghe. Pur in strutture di eccellenza, raramente ci
sentiamo “presi in carico” da un sistema sanitario che invece deve farlo, senza se e senza ma, anche dotandosi
della figura di case manager infermieristico.
Ci sentiamo ripetere che la sanità occupa la gran parte di un bilancio regionale della Basilicata, che però si
scontra con le nostre lacrime – le nostre, quelle vere, che siano di rabbia o dolore o impotenza – quando
stiamo per scendere in sala operatoria per un intervento al polmone e ci sentiamo dire che non ci sono
anestesisti, o quando in un piccolo ospedale veniamo dimenticati in sala operatoria al cambio turno, o
quando ci viene negato un ricovero programmato (quanto vitale!!!!) perché dichiarati positivi al Covid ma
stranamente di quel referto che dichiari la positività non vi è traccia. Le lacrime di rabbia quando, da malati
in chemio, ci ritroviamo ad aspettare il nostro turno seduti sulle scale, tra le correnti, e quando proviamo a
dar voce alla protesta tramite una raccolta firme, ci sentiamo deridere da chi proprio non dovrebbe. Le
lacrime che inghiottiamo quando entriamo in sala operatoria per un approfondimento delicatissimo e
doloroso, mentre da anni siamo (invano) in lista di attesa per lo stesso esame nella nostra terra, o quando
veniamo strattonati mentre siamo su un lettino, in un momento di estrema fragilità psicologica prima ancora
che fisica, o ancora – e dolorosamente – quando rispondiamo ad una telefonata partita per sbaglio dal
cellulare di un primario e ascoltiamo quello che davvero non avremmo voluto.
E dunque è solo questo? È tutto sbagliato e da rifare? No. L’ho detto e lo ripeto e lo ripeterò fino allo
sfinimento. Perché a fronte di questo, ci sono persone straordinarie e piene di umanità, professionisti di cui
parliamo ogni giorno e che rappresentano la vera speranza della sanità di questa terra, quale che sia la
struttura sanitaria in cui operano, si chiamino Aldo o Raffaele, Nello o Francesca, Antonello o Giusy, Rosetta
o Giuseppe, Dino o Giovanna, Ferdinando o Antonietta, Pasquale o Antonio, Rosanna o Alfredo, Giovanni o
Tonino, Roberto o Imma, Domenico o Antonella e tanti altri ancora.
Raccontare quello che non va in un sistema sanitario, non equivale a denigrare il lavoro duro di quei
professionisti che ogni giorno antepongono il bene comune al guadagno. E però va detto che le loro spalle
non possono sopportare da sole il peso di un sistema sanitario che è in evidente difficoltà e che chiede aiuto.
In quanto paziente oncologica, non potrei più guardarmi allo specchio se non dicessi la verità. Da presidente
di Agata, prima di alzare la voce, ho ogni volta provato ad affrontare i problemi nelle sedi opportune. Ogni
volta. E però mi sono anche resa conto di quanto sia difficile vestire i panni di un “grillo parlante”. Pinocchio
il grillo lo uccide, pur di non ascoltare la verità.
Ogni mia intervista, ogni mia dichiarazione, ogni mia parola, è un invito a fare di più e fare meglio ed è rivolto
giammai a chi già fa tantissimo anche oltre quel che dovrebbe, ma a chi ha un dovere morale nei confronti
dei cittadini. È un urlo di dolore che dovrebbe arrivare ai governanti affinché antepongano le necessità dei
più fragili ad altri temi, pure certamente importanti.
È la mia storia quella che racconto e che è scritta sulle mie cicatrici. È la storia di Lucia. È la storia di Laura. È
quella di Antonietta. È la storia di Anna e Giulia e Nunzia e Nunziella. È la storia di Carmine e Antonio. È la
storia di chi vende l’oro che ha ricevuto da bambina per pagarsi i viaggi della speranza. È la storia di chi “le
vacanze le trascorriamo negli ospedali” (come diceva Lucia). È la storia delle famiglie di ognuno di noi. È la
storia di chi, nello sgomento senza fine di una malattia spietata, invoca l’aiuto di Dio. È la storia delle tante
telefonate ricevute dal personale sanitario affinché le associazioni di pazienti diano anche voce alle loro
difficoltà quotidiane. Sono le tante voci che ho ascoltato in questi anni di Agata, voci rotte dalla paura e dal
dolore, voci che hanno chiesto aiuto e che mai sono rimaste inascoltate.
Questa è la voce di chi sa dire GRAZIE con commozione, ma è anche una voce che non può rimanere in silenzio
nelle difficoltà. Lo devo a me stessa e a chi non c’è più. Lo devo ai nuovi malati. E lo devo a mia figlia, che ho
tanto sacrificato a causa della mia malattia oncologica e del mio impegno con Agata a favore dei malati più
fragili.
Per dirla con Papa Francesco, siamo “tutti chiamati a remare insieme”, ma è necessario che ognuno faccia
davvero e fino in fondo la propria parte, in base alla propria “forza”, mettendo fine a quel chiacchiericcio che
– sempre citando Papa Francesco – “è un’arma letale” di cui certo non abbiamo bisogno.
Non perdiamo di vista l’obiettivo e andiamo avanti, insieme. E insieme combattiamo per la VITA”.
Mirna Bruna Mastronardi


