Pubblicità

Pubblicità

Varie

‘Devastazioni. Il femminismo a casa mia’. Rubrica di Daniela Gambino

Ho incontrato donne che mi hanno detto, scherzando (fino a un certo punto) che soffrono i postumi di questo femminismo, che prima gli uomini almeno “ci dovevano campare”, ovvero provvedere in toto alla nostra sussistenza, ora neppure quello, “lavoro in casa e fuori e se ti lamenti loro ti dicono l’avete voluta la parità?”.

Che poi questo provvedere al nostro mantenimento non è mai stato vero. Mai, in termini strettamente economici, intanto perché il nostro uomo non è un protettore. Una donna rendeva, eccome (e già ribadirlo non è rendergli merito). Filava, ricamava, riconosceva le erbe, cucinava, allevava figli, governava gli animali, coltivava. Tutto lavoro che non aveva e in parte non ha pari dignità. Non è riconosciuto, è svilito, dato per scontato, viaggia su un parametro diverso cose che “vanno fatte in quanto donna”. “Per far emergere la realtà dei mestieri femminili, una realtà ‘sommersa’ soprattutto alla fine dell’Ottocento, si è fatto ricorso – oltre ad articoli apparsi sui numerosi periodici femminili dell’epoca e alle inchieste svolte dal Ministero dell’agricoltura, industria e commercio e dalle varie associazioni con obiettivi economici o più propriamente sociali – anche alla letteratura. Se è legittimo riconoscere validità documentaria a testi letterari che rinviano a situazioni storiche, economiche e politiche, questo vale tanto più per i romanzi sociali del periodo (il riferimento è, in particolare, alle novelle di Matilde Serao), spesso documenti di storia quotidiana, vere inchieste socio-culturali in cui compaiono pagine utili per ricostruire la mentalità collettiva dell’epoca”.

Secondo questo interessante documento redatto dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, a venirci in aiuto i rapporti di polizia, che riportano diatribe con le cameriere, studi sulla moralità di impiegate e maestre e inizi di conflitti per il riconoscimento come lavoratrici in fabbrica.

La verità è che nei libri manchiamo noi donne, la storia non è gentile neppure con i perdenti o sei uomo eroe o sei sconfitto, per le donne, ovviamente, assai peggio: o sei regina, sposa, capostipite di stirpe, donna partecipe e complice di sodalizi per tramandare casato, interessi e patrimoni, oppure non esisti. Ed è triste e, soprattutto, è irreale.

Mancano le donne che partoriscono, parlano, creano relazioni e sanno. Le donne hanno un compito improbo, custodiscono i sentimenti. Le confidenze. Le donne sono riuscite a ritagliarsi un ruolo in questo ambito, nel maneggiare emozioni, moti di sangue e di cuore.

Le donne, c’è poco da fare, rendono il mondo un posto più poetico.

Scrive in una memorabile lettera Natalia Ginzburg: “… le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.

Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante (…)

Prosegue la Ginzburg: “Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo. Le donne hanno dei figli, e quando hanno il primo bambino comincia in loro una specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle donne più sane e tranquille. È la paura che il bambino si ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comprare tutto quello che serve al bambino (…) o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare delle ascensioni in montagna per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita…”

Le risponde Alba de Céspedes: “… perché tutti credono che io sia una donna forte e io stessa, quando sono fuori dal pozzo, lo credo.

Ma – al contrario di te – io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo in un pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano, e nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono tutto quello che gli uomini – i quali non cadono mai nel pozzo – non comprenderanno mai.

Nel pozzo sono pure le più dolorose e sublimi verità dell’amore, anzi, sono nel fondo più profondo di ogni pozzo, ma le donne, tutte le donne delle quali tu parli, vi crollano dentro così pesantemente da riuscire a toccarle. E noi siamo spesso infelici in amore appunto perché vorremmo trovare un uomo che anche lui cadesse qualche volta nel pozzo e, tornando su, sapesse quello che noi sappiamo”.

Essere più sentimentali di un uomo non è un vantaggio su di lui, è una enorme competenza sinergica. Non è da sottovalutare, da farsi scippare o dileggiare “tu se femmina e sogni l’amore”, è una roba pazzesca. È dire “io arrivo dove tu non puoi “ (vale anche il contrario). È il mistero del materno, la magia della duplicazione del dna, è la placenta, è l’allattamento, è la storia del mondo.

Siamo esseri capaci di divertirsi, riflettere, sorridere e farci un pianto liberatorio, di quelli meravigliosi, che sanno concedersi le donne.

Daniela Gambino: palermitana doc, ha scritto una dozzina di libri, fra cui il saggio Media: la versione delle donne. Indagine sul giornalismo al femminile in Italia, uscito per Effequ; per caso è diventata una attivista etero per i diritti LGBT (per caso, perché i diritti umani sono degli umani e basta) con il saggio 10 gay che salvano l’Italia oggi, ha scritto il romanzo La perdonanza (entrambi i volumi pubblicati dalla casa editrice Laurana). Gestisce su facebook il blog @Comunicarepop. È in libreria con Conto i giorni felici, edito da Graphe.it, e sta lavorando al saggio Devastazioni, il femminismo a casa mia.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: