Pubblicità

Pubblicità

Varie

‘Devastazioni. Il femminismo a casa mia’. Rubrica di Daniela Gambino

Sento spesso ripetere dalle ragazze giovani che loro non sono femministe, e credo che mi abbiano anche spiegato perché è avvenuto questo “disconoscimento”: perché si vorrebbe che la parità fosse normale e non ci fosse un apparato di lotte, una filosofia, a consentirle. Ma dovrebbe essere qualcosa che avviene nella vita di tutti i giorni, un diritto acquisito e basta, sempre, senza dover ringraziare le donne che lo hanno reso possibile “prima di loro”. “Non capisco il motivo di questa storia – mi dice una diciottenne – quando usufruiamo di molti diritti non sentiamo sempre il bisogno di esprimere riconoscenza per chi li ha conquistati, li usiamo e basta, siamo qui, nel presente, le femministe (come te n.d.a.) invece sono sempre pronte a ricordarti che lo devi a loro, e non mi sta bene, perché anche adesso è dura, e dobbiamo sempre stare attente”. Il tono è “ancora non ce l’abbiamo fatta e volete pure essere ringraziate sempre?”. Non sono certo ‘antifemministe’, anzi, sono libertarie, orientate alla difesa dei diritti, intelligenti, il fatto è che, in certe cose hanno ragione, lo ha detto persino la Palombelli nel monologo a Sanremo (fra poco tutti avranno avuto un monologo a Sanremo, tranne me), le donne non devono rinunciare ai sogni. Insidiati da chiunque. Le ragazze crescono con l’ansia, anche su piccole cose, tipo su come devono farsi chiamare, “dottoressa o dottora? Scrittrice o scrittora?” (avete visto che è successo col direttore d’orchestra?) su cosa accettare da un uomo “mi ha detto sei bona”, come va considerato, è complimento o molestia?”, su cosa possono fare, praticamente tutto, sicuramente tutto, tranne poi incappare nel body shaming, lo slut shaming, del revenge porn, e altri inglesismi insopportabili che in definitiva vogliono farti vergognare del tuo corpo – se non hai le giuste misure – o della tua condotta sessuale – se non è morigerata, se è esibita. Oltretutto, e mi capita di notarlo spesso, in pubblico, viene ancora chiesto, alle ragazze, di essere esemplari nel comportamento, ho visto insegnanti notare ‘e poi, le ragazze, prendono l’ iniziativa’. E certo, mi verrebbe da dire, sono anni che lottiamo per questo. Ogni tanto, nelle discussioni pubbliche, quando mi infervoro, intercetto gli sguardi d’intesa fra gli uomini presenti. Tipo ‘guarda questa come si appassiona, come si accende, come si imporpora’. Non sono una che si arrabbia o si accalora facilmente, anzi, che sono timida e riservata, l’ho già detto, tanto che nella professione questo mi ha penalizzata “non ti avevo notata”, è un classico, io tendo e tenere per me alcune opinioni, non sono il tipo che batte il pugno sul tavolo, sono assertiva, ligia, precisa, sono forse “come ci si aspetta che sia una donna al lavoro”. Però, se qualcosa so, se ho una convinzione, se ho avuto una visione valida, mi agito, e riguardo il modo in cui vengono accolte queste reazioni una idea me la sono fatta. Se fossi un uomo nessuno ci troverebbe qualcosa di strano. Nessuno sarebbe sorpreso da veemenza ed entusiasmo. Gli uomini sono come autorizzati a difendere le loro ragioni. Sempre. Le donne è come se potessero farlo in caso estremo, di pericolo. Quando i loro diritti sono calpestati, se nessuno dà loro la parola, se difendono ideali femministi, se combattono per il loro uomo, per la loro famiglia. Se corrono a difendere i figli. A volte obnubilate. Come se giocassero, in continuazione, una partita in difesa. Come se dovessero essere l’ala riflessiva delle discussioni. Gli uomini si infervorano, loro, noi, in linea di massima non possiamo apportare idee infiammate. Dobbiamo limitarci a valutarle. Se è il caso appoggiarle. È fare un doppio lavoro, perché partecipare alle discussioni pubbliche, ai dibattimenti, da pari a pari, non è sempre prevedibile. Perché spesso, oltre a sostenere ragioni o idee, le donne sostengono loro stesse, vale a dire sono rappresentanti dei diritti delle altre donne. Cosa che non fanno gli uomini. Quando sei un uomo relatore in un congresso, per esempio, rappresenti te stesso (chiaramente in quanto studioso uomo, con annessi e connessi), mentre, nelle occasioni pubbliche, dall’abbigliamento, al linguaggio, le donne rappresentano anche il genere a cui appartengono: hanno una specie di compito non assegnato in termini reali, ma bensì in termini morali. Vengono, veniamo, valutate anche in base a quello che indossiamo, alle parole che scegliamo per esprimerci, ai modi, alla compostezza. È tutto così strettamente correlato, che alle ragazze, che mi dicono “non mi interessa il femminismo”, dico “hai pure questo diritto, dire che non ti interessa è femminista”. Fai quello che vuoi ragazza, ti abbiamo dato diritti ancora monchi. Lo so, è tosto. Vai a prenderli. Noi ci siamo.

Daniela Gambino: palermitana doc, ha scritto una dozzina di libri, fra cui il saggio Media: la versione delle donne. Indagine sul giornalismo al femminile in Italia, uscito per Effequ; per caso è diventata una attivista etero per i diritti LGBT (per caso, perché i diritti umani sono degli umani e basta) con il saggio 10 gay che salvano l’Italia oggi, ha scritto il romanzo La perdonanza (entrambi i volumi pubblicati dalla casa editrice Laurana). Gestisce su facebook il blog @Comunicarepop. È in libreria con Conto i giorni felici, edito da Graphe.it, e sta lavorando al saggio Devastazioni, il femminismo a casa mia.

Scopri di più da Loft Cultura

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading