Ti sei fatta rispettare? Sì, ed è faticoso. Sul lavoro, nella vita, in amore. Credetemi, è un lavoro in più ed è un lavoro che ricade su di noi. Da quando ero bambina, qualsiasi cosa accadesse: un insulto alla fila per salire sulla altalena, un compagnetto che ti tirava le treccine, fino all’adolescenza: con i primi insulti per strada, le prime profferte sessuali non richieste, etc, etc, se lo raccontavo, dopo il primo istante di silenzio mi veniva chiesto: e tu? Ti sei fatta rispettare? Immediatamente l’attenzione veniva spostata su di me, e che avevo fatto? Com’ero vestita? Come avevo risposto? Come avevo “lavorato” in tal senso per difendermi e fare in modo che la mia dignità restasse integra, illesa? Della dignità e del senso del rispetto del molestatore, devo dire, che poco mi è stato chiesto. A volte era malato, psicopatico, semplicemente stronzo. Liquidato come predatore, erotomane (se andava bene), idiota, maiale, etc. Io credo che l’attenzione venga spostata sulla donna perché la faccenda ci riguarda profondamente e ci spaventa. Molto. È come se qualcuno continuasse a spararti e tu dovessi imparare a evitare le pallottole, perché tanto il cecchino c’è e rimane. E tu devi sbrigarti, essere reattiva e non perdere tempo. È lo stato di cose. Ma è davvero giusto così? Sul lavoro, “non dare confidenza”, non babbiare coi maschi, non ridere sguaiata. Fatti rispettare. Abbassa lo sguardo per strada. Non offrire il fianco (e che sarebbe sto fianco? Non parlare, a volte, a uno sconosciuto, non rispondere a una chat di notte, per dire. Vuol dire che ci stai o potresti. Ah, sì? Sì, è così) Mettili a posto, vestiti castigata. Sii autorevole. Conquistati il rispetto. Cioè, non limitarti a confidare nel rispetto altrui, proprio devi conquistarlo questo rispetto, con impegno e sudore. E sul cecchino, sull’uomo che spara richieste sessuali, nessuno intervene? Lui avrà il rispetto sociale così, in automatico, anche se dice cazzate o oscenità? Il cecchino spara, a volte, inconsapevole e, senza giustificarlo, questo spostamento di attenzione lo rende sempre meno identificato, scoperto. Che cavolo ha un uomo nel cervello per molestare una donna credendo che sia lecito? Perché non lo prendete a parte e gli chiedete: che caspita hai nel cervello? Questa operazione, così semplice e sacrosanta, viene fatta abbastanza? Ok, esistono centri antiviolenza, dove cerchiamo di evitare le pallottole del cecchino, ma un ambulatorio per molestatori, una cura per i cecchini, esiste? Certo che sì, ma non con la stessa emergenza e urgenza che, a mio avviso c’è. Perché un intervento serio, che ci sollevi dalla pesantezza di subire e di dover imparare a difenderci, di “farci rispettare” per sempre. Sarebbe utile. Necessario.
Daniela Gambino: palermitana doc, ha scritto una dozzina di libri, fra cui il saggio Media: la versione delle donne. Indagine sul giornalismo al femminile in Italia, uscito per Effequ; per caso è diventata una attivista etero per i diritti LGBT (per caso, perché i diritti umani sono degli umani e basta) con il saggio 10 gay che salvano l’Italia oggi, ha scritto il romanzo La perdonanza (entrambi i volumi pubblicati dalla casa editrice Laurana). Gestisce su facebook il blog @Comunicarepop. È in libreria con Conto i giorni felici, edito da Graphe.it, e sta lavorando al saggio Devastazioni, il femminismo a casa mia.