Non mi sarei messa a scrivere se, una mattina, non mi fossi resa conto che la molla di molte azioni compiute nella mia vita, è stata questa: accontentare, stupire, stimolare benevolenza e accettazione negli altri. Direte voi, dove sta la novità? Tranne qualcuno/a che preferisce farsi odiare per partito preso, stiamo là, eh, tutti sulla stessa barca.
Parlo di un bisogno di “fare piacere” e contentare gli altri – che va dai genitori, dal compagno, dagli amici, dalla società – più femminile, pieno di grazia, che non mi è sempre venuto naturale. Che ho costruito in base a richieste, visioni, esempi precisi. Parlo di una specie di schiavitù, un modus vivendi su cui veniamo plasmate, che va dalla principessa che viene salvata (e non pianifica fughe o soluzioni individuali) alla crocerossina (avete presente la serie di Candy Candy?), alla protagonisti di romanzi che muore per amor infelici, non ha alternative, non scappa, non si rifà una vita in Sudamerica, ma anche a episodi quotidiani, avete mai provato a dire “non so cucinare, non mi piacciono i bambini, non mi interessa sposarmi (ma secondo voi, davvero la nessuno me l’ha chiesto? E dovevo per forza esserne gratificata a vita?) non vado in giro a guardare le vetrine?”.
Adesso, grazie al cielo, fra movimenti come il body positivity e il femminismo empowerment1, spesso attraverso tutorial o piccole clip video, molte ragazze ci spiegano cosa va normalizzato: le smagliature, la pancia, la ricrescita dei peli. Vanno normalizzate, perché ci sono. Vanno accettate, come gli anni che passano, le cicatrici. Le cose ineluttabili. Puoi intervenire, depilarti, curarti, è chiaro, ma devi sapere che non c’è nulla di sbagliato in te, no, non ti hanno fatto un torto se hai baffetti, sopracciglia alla Frida, pancetta. Hai un corpo femminile, con ormoni, sangue e cervello. Si tratta di aspetti fondamentali che abbiamo nascosto per secoli, ok. Non so quanto queste ragazze fantastiche, parlo delle influencer che condividono le clip normalizzanti, stiano facendo per il femminismo, ma di certo stanno per dare un grosso colpo al bisogno di piacere, alla schiavitù, di cui accennavo prima.
Perché, domandiamoci, cosa succede quando una donna dice di no al bisogno di piacere? Dice: non faccio più come vuoi tu, tu inteso come uomo, società, ideale, media, mercato e tutte quelle cose lì, che ci condizionano.
Lo sappiamo, è sotto gli occhi di tutti, può significare molto, può valere la stessa vita. L’unico modo per non incorrere in pericoli è uno: che questo no, questa negazione di principi preconfezionati, venga promulgato, praticato, che le donne lo dicano, pronuncino questo no, che le donne scelgano, sempre e sempre di più, cosa dire senza paure e condizionamenti, fino a che questo diventi la norma, come i loro peli o la ricrescita, fino a che i loro diritti non siano pareggiati.
Ma questi condizionamenti che arrivano da lontano, sono sempre facili da riconoscere? Dove si trovano? Partiamo dalle basi, dal famoso “ma come ti vesti?”, a chi pensi, mentre lo fai?
Io stessa, in seguito alle discussione con amiche appassionate di abbigliamento sexy in modo talmente sincero da non farti minimamente pensare che lo usino per compiacere nessuno se non loro stesse, mi chiedo: esiste una valutazione esatta e ha senso porsela? Abbiamo notato quante donne, di età differente, si vestissero eleganti e sensuali durante il lockdown? Complici molti articoli al riguardo, compreso il famoso tutorial su come fare la spesa e rimanere bombe sexy mentre si solleva una gambetta per acchiappare un prodotto su uno scaffale alto, alcune hanno proprio giocato con l’outfit davanti all’obbiettivo dello smartphone, ed è stato, un modo creativo di condividere un peridodo snervante sui social.
Ma ora andiamo la domandone, Tutto voluto o imposto? Ecco, dunque, come valutare attentamente se ci si vesta sexy per se stesse, oppure per giocare con il partner o per assecondare l’altro. Il primo quesito è: lui ti impone un certo tipo di abbigliamento? Perché se te lo impone lui, inutile continuare a farsi domande, è un abuso. Se sei tu a sentirti fuori posto, poco attraente, se non sei apparecchiata come una star e hai rinunciato al plateau tacco 12 per una sera, perché dovresti riuscire a rilassarti ed esistere pure senza make up, ma quello è un percorso di accettazione personale e lui c’entra relativamente o per niente (relativamente perché non richiede, ma lascia intendere).
Queste sono solo alcune delle questioni da porsi, così, d’emblée, mentre corri a un appuntamento e hai indossato la giarrettiera. Eppure, sono utili. Ora, capite perché quando dite alle donne “sei complicata” e chiedete, pretendete, una certa leggerezza, aggiungete devastazione a devastazione? Le donne, ogni istante, sono preda di dubbi. Sono al centro dell’attenzione, per strada, in tivvù, nelle chat, il corpo e il comportamento della donna sono oggetto di discussione, sono corpi esemplari, giudicati, soppesati.
Per questo, io, che sono una scrittrice, una scrittora, insomma, un’intellettuale, nelle discussioni pubbliche vengo sovente messa in mezzo, “tu, che dovresti avere tutti gli strumenti per difendermi, veramente ti accorgi, sempre sempre, di un comportamento che lede la parità?”. In cui tu compiaci e lui no?
La risposta alla prossima puntata.
Daniela Gambino: palermitana doc, ha scritto una dozzina di libri, fra cui il saggio Media: la versione delle donne. Indagine sul giornalismo al femminile in Italia, uscito per Effequ; per caso è diventata una attivista etero per i diritti LGBT (per caso, perché i diritti umani sono degli umani e basta) con il saggio 10 gay che salvano l’Italia oggi, ha scritto il romanzo La perdonanza (entrambi i volumi pubblicati dalla casa editrice Laurana). Gestisce su facebook il blog @Comunicarepop. È in libreria con Conto i giorni felici, edito da Graphe.it, e sta lavorando al saggio Devastazioni, il femminismo a casa mia.