‘Devastazioni. Il femminismo a casa mia’. In amore non ho mai fatto il primo passo. Rubrica di Daniela Gambino
Qualche giorno prima di scrivere questo pezzo, ero in auto, lessa come uno spaghetto scotto, e ho visto una ragazza nera, trascinare una valigia enorme. Era uno di quei giorni in cui sei stanca e ti pare che ti capiti di tutto, mentre non ti capita assolutamente niente, tranne che siamo in pandemia e ogni gesto va pesato e pensato, tipo mettere e togliere la mascherina, per questo stai lessa. Allora questa ragazza passa, fa un’espressione tipo “mò, ora basta”, con una rotazione del polso solleva la valigia e la mette sulla testa, in perfetto equilibrio, e comincia a camminare spedita. Fine della storia. Io la guardo, quasi mi commuovo e mi dico “epperò”, ingrano la marcia e realizzo di non dovermi proprio lamentare, perché mi faccio pure arrivare la spesa a casa e non ho nessuna valigia enorme sulla cervicale, e se l’avessi starei a piagnucolare, altro che camminare a passo svelto. Sempre qualche giorno prima di scrivere questo pezzo, riflettevo su una verità inconfutabile: in amore non ho mai fatto il primo passo, intendo che, con un uomo, non ci ho mai provato, non ho mai espresso il mio desiderio per prima. Mai. Era sera, stringevo lo smartphone, il mio dito scorreva su Instagram e ho intercettato una vignetta dal profilo di Freeda, una delle mie riviste di riferimento. Nella vignetta si vede una ragazza che dichiara il suo amore a un ragazzo con un mazzo di fiori, in ginocchio (una dichiarazione in piena regola, insomma) e la didascalia recita: “Vale sempre la pena di fare il primo passo”. Ecco la parità, che figata, ma che mi dite, pure le donne possono dichiararsi al fidanzato ed essere loro a proporre “vuoi sposarmi?”. In quell’istante, mi rendo conto che a cinquantuno anni, l’età in cui scrivo, non sono mai stata la prima a dichiararmi, ma nemmeno a attaccare bottone con un uomo. Ho avuto molto coraggio in altri ambiti, lo ammetto, a scegliere la professione, a perseguirla, far valere le mie idee, pubblicare libri in cui sostenevo tesi, indagavo, valutavo diversi punti di vista, ma nei sentimenti, se devo usare una espressione, “ho fatto la parte della donna”. Ovvero, per usare un termine un po’ forte: “ho fatto la preda”. L’uomo dovrà pur far qualcosa, gliela lasciamo questa caccia, o no? A questo punto, da questa vignetta di Freeda, nel mio cervello, sono partite una serie di domande: non sarò un po’ bacchettone e retrò? Ho dei limiti, e con questi limiti quanto posso dare qualcosa alla causa, al femminismo, ai valori che mi stanno a cuore? Spesso, in quanto timida, sono stata inespugnabile, inavvicinabile, e questo, come risultato, è stato interpretato come un modo per rendermi interessante, apostrofato con domande, del tono: “che fai? La preziosa?” (espressione discutibile, come se tutti e tutte non fossimo preziosi, unici, no?).Eppure questo modo di porsi non è solo mio, sono parte di una generazione. Le mie amiche fanno le preziose quanto me, siamo composte, poco sguaiate, poco libertine. Siamo un poco filo borghese e ci piacciono gli orecchini e il filo di perle al collo. Certo, trasgrediamo, ma non verrò a raccontarlo qui. Non sapremmo fare diversamente. Certe volte, davanti a donne più decise, più presenti a loro stessi, mi sono chiesta se c’era abbastanza spazio per me, in questa lotta, se io, in quanto timida, con la vocetta roca, non ero una specie di mammoletta con la messimpiega nelle retrovie del femminismo. Forse sono stata troppo condizionata dalla mia formazione cattolica. O forse no. Forse mi sono solo trovata a mio agio così. Forse ho espresso tutto a modo mio, ho avuto fissazioni e grandi passioni. Non credo che il mio amore, seppur silente, sia mai stato frainteso. Non sono stata ad aspettare il principe azzurro, badiamo bene, tanto che le più grandi conquiste le ho fatte da sola, ma, forse, sono rimasta convinta che gli uomini avessero dei compiti precisi, sì, compiti come cominciare loro, dichiararsi loro, desiderare loro. Ho avuto, per certi versi, la convinzione di custodire un segreto femminile. Una specie di nocciolo inarrivabile, di saperi teneri, delicati, di questo mio mondo interiore fatto di immagini, conquistato dai fiori, dai gatti e dalle poesie, da condividere in casi eccezionali. In caso d’amore. Da lì, credo, sono stata irremovibile: per arrivarci dovevi faticare un pochino. Per questo ho deciso di scrivere un libro che porta lo steso titolo di questa rubrica, per capire se sono stata una brava femminista, se il mio punto di vista da timida preda è condivisibile, perché vedete io sono una piena di paure, una che ha grande disagio pure rispetto al corpo nudo, alla pelle esposta, e mi chiedo se si può essere femminista, rispettare le Femen e la loro lotta con tutta me stessa, ma pensare che denudarsi, no, non farebbe al caso mio. Che anche se non ci sarebbe da vergognarsi del proprio corpo, io questa vergogna sono stata abituata a provarla, l’ho avvertita. Io, nuda, sto a disagio, diciamola tutta. Che questa lotta, fatta dal corpo, quasi sempre giovane e bello, mi pare tenga fuori una come me. Io vorrei capire se i miei limiti, che sarebbero: non essere abbastanza sfrontata, colta, cresciuta in un ambiente libertario, possano essere utili alla causa femminista. Voi, che ne dite? Dico che ammiro tanto la strafiga di Asia Argento, che è capace di fare una denuncia pubblica e dare vita al movimento metoo. Ma non avrei saputo fare altrettanto. Non ho neppure la proprietà di linguaggio di una Michela Murgia, la sua contezza e precisione. Eppure voglio trovare il mio posto nel femminismo, esattamente come nella vita, malgrado i limiti. E anche se non farò altrettanto, devo valutare il mio fare. Perché sento che il mio punto di vista è prezioso. Racconta un altro modo di vivere il quotidiano e il lavoro, un altro modo di conciliare le cose, il tempo, le passioni. Ogni giorno io posso notare azioni e gesti, veri, della vita reale, e da questa osservazione delle donne, dalla loro operosità e presenza, non solo posso imparare a stare al mondo ma posso fare di più: mostrarlo agli altri. È della ragazza che porta la valigia in testa, di cui parlavo all’inizio, che mi sfila davanti come per dire “cammina, puoi farcela” , che devo raccontare, è a quelle come lei che devo rendere onore. A questa forza incredibile, ai gesti esemplari e naturali. Ecco, cosa possa fare. C’è un posto perfino per me, in questa magnifica lotta.
Daniela Gambino: palermitana doc, ha scritto una dozzina di libri, fra cui il saggio Media: la versione delle donne. Indagine sul giornalismo al femminile in Italia, uscito per Effequ; per caso è diventata una attivista etero per i diritti LGBT (per caso, perché i diritti umani sono degli umani e basta) con il saggio 10 gay che salvano l’Italia oggi, ha scritto il romanzo La perdonanza (entrambi i volumi pubblicati dalla casa editrice Laurana). Gestisce su facebook il blog @Comunicarepop. È in libreria con Conto i giorni felici, edito da Graphe.it, e sta lavorando al saggio Devastazioni, il femminismo a casa mia.
